L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
L’allarme è stato lanciato, durante il congresso IAS 2011 a Roma, dal professor Carlo Giaquinto del dipartimento di pediatria dell’Università di Padova e coordinatore della rete pediatrica europea per la cura dell’Aids.
Pur dovendo lottare con gli effetti avversi dei farmaci antiretrovirali, gli 800-900 bambini e adolescenti sieropositivi presenti in Italia sono seguiti, fanno la la terapia e stanno bene.
Tuttavia, il numero di bambini affetti da Hiv in Italia è destinato a crescere anche per l’arrivo di bimbi che si sono già infettati nel loro paese di origine i cui genitori, spesso, non sono neanche al corrente della sieropositività dei loro piccoli.
E non ci sono solo i bimbi Hiv-positivi che si sono ammalati nel loro paese d’origine, infatti in italia, rileva l’esperto, "il numero di donne ad alto rischio di trasmissione verticale resta rilevante e inaccettabile qui da noi: ci sono circa 500-600 gravidanze l’anno di donne sieropositive, quindi a rischio di trasmettere la malattia al nascituro. I rimedi preventivi ci sono ma purtroppo – osserva – anche da noi molte donne ‘sfuggono’ alla prevenzione perché spesso scoprono solo al parto di essere sieropositive, quindi non hanno fatto la terapia antiretrovirale in gravidanza, o perché non si riesce a incanalarle nel percorso preventivo durante il periodo dell’allattamento".
L’accesso ai servizi prenatali per queste donne a rischio di trasmissione verticale, spiega Giaquinto, è molto minore di quello delle donne italiane, per il problema della lingua che rende spesso difficile alla donne interfacciarsi col personale sanitario, ma anche per problemi culturali. Quindi, conclude il pediatra, l’accesso delle donne ad alto rischio è molto minore di quanto potrebbe e dovrebbe essere per prevenire la nascita di bimbi Hiv-positivi
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