L’agricoltura è parte della soluzione al cambiamento climatico, non del problema, grazie all’innovazione nei campi di tecnologia e scienza applicata. È questa convinzione, che è anche un orizzonte, a unire le esperienze del settore agricolo di Italia e Brasile, entrambi davanti alle sfide del “produrre di più preservando meglio le risorse naturali” e del fare fronte a crisi improvvise che hanno un enorme impatto sulla sicurezza alimentare mondiale, come la guerra in Ucraina. Rappresentanti del comparto dei due Paesi – si legge sulla DIRE – si sono confrontati oggi alla prima edizione degli AgriTalks Italia-Brasile, organizzati dall’ambasciata del Paese sudamericano nella sede di Palazzo Pamphilj, nella centrale Piazza Navona di Roma.
Ad aprire i lavori, all’insegna del titolo “Innovazioni per la sostenibilità agrozootecnica: esperienze di Brasile e Italia”, il padrone di casa, l’ambasciatore Helio Ramos.
“I nostri due Paesi portano con loro nel dna la passione per il settore agroalimentare e per l’ambiente”, ha premesso il diplomatico, che ha poi dato alcune delle coordinate del comparto del gigante sudamericano, quinto Paese al mondo per estensione. “In 50 anni siamo passati dall’essere importatori a esportatori di cibo, e ora sfamiamo circa il dieci per cento della popolazione della terra, circa 800 milioni di persone. Riusciamo a fare tutto questo con il 66% del nostro territorio che è protetto o conservato”.
Delle potenzialità del Brasile, in modo particolare in contesti di crisi come quello che il mondo sta affrontando a causa del conflitto in Ucraina, ha parlato Celso Moretti, presidente dell’Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuaria (Embrapa), l’ente legato al ministero dell’Ambiente che guida da quasi 50 anni lo sviluppo dell’agrobusiness brasiliano. “Stiamo lavorando da 30 anni alla tropicalizzazione della produzione dei cereali, che sono tipici del clima temperato e il cui approvvigionamento è ora al centro della attenzioni di tutti a causa della guerra, che coinvolge due fra i maggiori esportatori al mondo. L’ottica – ha affermato Moretti – è diventare grandi produttori ed esportatori in cinque o dieci anni”.
Si può raggiungere questo obiettivo “senza toccare un singolo albero dell’Amazzonia”, la più grande area forestale del mondo, pari a quasi il 60% del totale del territorio del Brasile? Fernando Camargo, sottosegretario per l’Innovazione e lo sviluppo sostenibile del ministero dell’Agricoltura brasilano, è convinto che la risposta sia “sì” e che questo stia già avvenendo: “Dal 1976 a oggi abbiamo incrementato la produzione agricola del 400% ampliando l’estensione dei territori coltivati solo del 50%, e lo abbiamo fatto con innovazione e scienza e puntando sulla produttività”, ha affermato il dirigente, ribadendo che il territorio della foresta “resta fuori da questi discorsi, così come da quelli relativi agli ettari destinati al pascolo, circa 170 milioni”.
L’ottica espressa da Camargo è quella di valorizzare l’Amazzonia, spesso tema delicato per il governo brasiliano, accusato da più fronti, interni e internazionali, di non proteggere la foresta dalle mire speculative che la minacciano, puntando sul “mercato del carbonio”, il sistema di commercializzazione dei permessi di emissione di anidride carbonica. “Siamo l’Arabia Saudita del carbonio- ha sostenuto il sottosegretario- e vogliamo che i 20 milioni di brasiliani che vivono in Amazzonia capiscano che la foresta è una ricchezza”.
Spunti che rispondono alle curiosità e agli interrogativi dell’eurodeputato Oscar Lancini, membro della commissione per il Commercio internazionale con delega per il Mercosur, che non rifugge la polemica e afferma di essere contento di prendere parte agli AgriTalks anche perché “sono un’occasione per verificare di persona quello che si dice sulla deforestazione in Brasile, un tema molto discusso in Commissione”. Anche il presidente di Confagricoltura Massimo Giansanti ha interrogato l’approccio delle istituzioni europee, stimolato dal confronto con la realtà brasiliana. “I Paesi che hanno puntato in modo deciso sull’autosufficienza alimentare, come il Brasile ma anche la Cina e gli Stati Uniti, stanno emergendo come vincenti in questa fase segnata dall’instabilità. In Europa la programmazione della politica agricola è stata lasciata troppo nelle mani esclusive della Commissione”.
La soluzione diventa quindi “dar vita a una vera ‘food policy’ a livello globale, senza aver paura di rimettere al centro concetti come produttività, di cui si è parlato oggi qui”. Il punto sulla situazione italiana lo ha fatto invece Alessandra Pesce, direttore del Centro di politiche e bioeconomia del Consiglio di ricerca ed economia agraria d’Italia (Crea), ente controllato dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.
“Abbiamo in corso 25 progetti di sviluppo rurale, finanziati per circa otto milioni di euro. La cifra può sembrare contenuta ma è maturata nell’ambito di un partenariato pubblico-privato centrato su obiettivi comuni, un modello interessante anche per dialogare col Brasile”.