Analizziamo prima la struttura e il peso del settore dell’Aerospazio, della Difesa e della Sicurezza (AD&S) all’interno dell’economia italiana, un settore assolutamente strategico per il nostro Sistema Paese.
Da un lato, fornisce all’Italia strumenti e capacità fondamentali per la difesa dell’interesse nazionale e per la sicurezza dei propri cittadini. Dall’altro, rappresenta un preziosissimo strumento di influenza geopolitica, in grado di accresce il peso del nostro Paese nel mondo.
Al netto di ciò, spesso si tende a non considerare il rilevante contributo economico che il settore AD&S fornisce al Paese. Il settore vale infatti 14,7 miliardi di euro (0,68% del PIL), pari a circa il 15% del valore dell’intero settore in Europa.
Il 70% di tale valore è destinato all’export, in virtù del quale tale industria rappresenta un’eccellenza del Made in Italy. L’Italia è infatti sesta al mondo per valore cumulato dell’export di strumenti e tecnologie per la Difesa nel periodo 2009-2023.
Se invece spostiamo la nostra attenzione sulle esportazioni, i dati sono ancora più rilevanti sono i dati relativi al valore aggiunto prodotto dal settore AD&S, pari a circa 4,5 miliardi di euro. La cifra arriva a circa 12 miliardi se si calcola il valore aggiunto totale, comprendente anche l’indiretto (4,5 miliardi) e l’indotto (2,5 miliardi). Ne risulta un moltiplicatore economico delle imprese del settore pari a 2.6, ben il 71% in più rispetto alla media dell’economia italiana. In altre parole, per ogni euro di valore aggiunto creato dal settore, si genera 1,6 euro addizionali di valore aggiunto nell’economia. Questo assicura un gettito fiscale di oltre 4,8 miliardi di euro (di cui 1,7 generato direttamente in Italia), con un moltiplicatore fiscale di 2.7. Ciò significa che, per ogni euro di tasse pagate dalle imprese del settore, si generano 1,7 euro addizionali di gettito fiscale per l’intera economia.
Altro dato di eccellenza del comparto Aerospazio e Difesa riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo, che oggi ammontano a 1,4 miliardi di euro, pari al 10% circa degli investimenti complessivi delle imprese italiane in R&D. Tale risultato posiziona il settore al secondo posto nella
Penisola per investimenti in ricerca, ed è l’unico settore insieme a quello legato alla componentistica elettronica, che spende il 10% di fatturato in ricerca e sviluppo. Ciò si traduce in un significativo aumento del capitale tecnologico italiano che, a partire dalle industrie della Difesa, si dipana a tantissimi altri settori, anche, e soprattutto, in ambito civile. Occorre infatti ricordare che molte delle più grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi 50 anni hanno avuto la loro prima sperimentazione e sviluppo in ambito militare.
Ma, al netto degli investimenti, la rilevanza del settore AD&S italiano è soprattutto sul piano qualitativo; l’Italia è ad esempio al settimo posto nel mondo tra i produttori di sistemi d’arma complessi.
Nel suo complesso, l’industria dà lavoro a 45.000 persone (5% del totale europeo del settore). Se poi si considera anche l’occupazione indiretta (73.041 lavoratori) e indotta (41.289 persone), si raggiungono altre 159.000 persone. Il settore AD&S presenta quindi un moltiplicatore dell’occupazione pari a 3.6, ben più alto di quello di altri settori chiave del tessuto economico italiano, quali l’automotive (moltiplicatore pari a 2), logistica portuale (1.8) e turismo (1.5). Inoltre, gli occupati del comparto AD&S sono ai vertici per produttività nel sistema economico italiano, dietro solo alla farmaceutica, con un valore aggiunto per addetto superiore a 100 migliaia di euro.
Attualmente, in Italia sono attive nel settore oltre 4.000 aziende, di cui il 70% rientrano nella categoria delle microimprese (meno di 10 dipendenti) e il 18% in quella delle piccole (meno di 50 dipendenti).
A queste vanno poi aggiunti colossi come Leonardo e Fincantieri, presenze stabili nella Top 20 mondiale delle società dell’AD&S.
In particolare, Leonardo è al 10° posto a livello globale e al 5° in Europa, generando circa il 20% dell’export manifatturiero high-tech del Paese. Si posiziona inoltre al 4° posto nel settore AD&S internazionale per spesa in R&D e al 1° posto tra le aziende manifatturiere italiane.
Il Gruppo alimenta il tessuto industriale del Paese attivando una filiera composta da circa 4.000 imprese, di cui circa il 70% PMI, con acquisti annui per circa 4 miliardi di euro.
Per quanto riguarda il Gruppo Fincantieri, è il principale costruttore navale occidentale ed annovera tra i propri clienti i maggiori operatori crocieristici al mondo, la Marina Militare Italiana e la US Navy. In Italia Fincantieri garantisce oltre 8.600 posti di lavoro diretti ed attiva un’occupazione complessiva di quasi 50.000 addetti conteggiando l’intera filiera industriale. Per ogni euro investito nella cantieristica, Fincantieri produce un valore di 4,5 volte superiore, a beneficio soprattutto del territorio d’insediamento, fra cui molte PMI altamente specializzate. Negli ultimi tre anni ha realizzato l’81% dei suoi acquisti in Italia, spendendo sul territorio nazionale 9,4 miliardi di euro.
Proteggere l’industria nazionale: un investimento per il mondo post-Covid
Gli Stati europei, compreso quello italiano, sono chiamati ad intervenire per mettere in sicurezza i propri comparti industriali, con particolare attenzione ai settori strategici, come quello della Difesa, Aerospazio e Sicurezza. L’Italia deve compiere delle scelte coraggiose e lungimiranti, decidendo di non tagliare i fondi destinati ai programmi di sviluppo e acquisizione di tecnologie militari, ma al contrario, mettendo in campo misure straordinarie per tutelare questo settore fondamentale per la sua economia.
Non si tratta di una scelta ideologica, ma di una reale necessità di politica industriale. Disinvestire nella Difesa significa andare ad incidere negativamente su di un settore che, come abbiamo visto sinora, funge da moltiplicatore di valore, con indiscussi benefici industriali, economici e, non ultimo, erariali. Tagliare gli investimenti significa ridurre l’occupazione all’interno di un settore che offre lavoro e formazione a migliaia di tecnici, ingegneri e operai specializzati. Ricordiamo, inoltre, che a partire dai colossi dell’industria militare italiana, si dipana un ampio ed articolato indotto, costituito da numerosissime PMI, ad alto valore tecnologico. Tali industrie, proprio per la loro configurazione e taglia, se da un lato rappresentano piccole eccellenze mondiali da preservare, dall’altro sono estremamente fragili e sensibili ai movimenti sussultori dell’economia. Una chiusura a macchia di leopardo di queste imprese generebbe enormi perdite in termini di know-how e logistica per l’intero comparto industriale, nonché priverebbe l’Italia di competenze tecnologiche uniche, costruite nei decenni, che andrebbero dunque ricercate all’estero, con tutto quello che comporta.
Le attuali supply chain attraverseranno importanti trasformazioni, seguendo nuove rotte, alcune alleanze politico-economiche e militari si rafforzeranno, mentre altre diventeranno sempre più liquide e instabili.
Molti settori, oggi fortemente dipendenti dalle commesse estere e da catene logistiche estese (dunque vulnerabili) potrebbero rivolgersi di nuovo verso l’interno dei propri Stati-madre, causando effetti a catena a livello globale.
Non è possibile, per lo meno al momento, definire i contorni e determinare l’aspetto che avrà l’economia globale post-Covid. Certamente, almeno nel medio termine, percorreremo una fase di assestamento, dove tutti i principali Stati industrializzati cercheranno di mettere al riparo i propri asset dalla tempesta economica. Ciò si tradurrà ora in misure protezionistiche, ora in aiuti di Stato alle imprese. Se l’Italia non si adegua a tale trend, le misure degli altri Paesi genereranno presto in vantaggi competitivi difficilmente recuperabili.
L’Italia deve compiere delle scelte lungimiranti, decidendo di non tagliare i fondi destinati ai programmi di sviluppo e acquisizione, ma al contrario, mettendo in campo misure straordinarie per tutelare un settore fondamentale per la sua economia”.
In economia, così come in natura, il vuoto è presto colmato. Le crisi innalzano chi sa sfruttarle e predisporre oculate strategie di conservazione, mentre lasciano franare tutti gli altri attori. Dunque, un eventuale vuoto lasciato dall’Italia durante questa pandemia, potrebbe già oggi essere osservato con interesse da parte dei suoi principali competitor, pronti a volgere tale occasione a proprio vantaggio all’interno del mercato.
Rivolgendo lo sguardo al contesto europeo, l’Italia ha tutte le carte per giocare un ruolo da protagonista nel processo di integrazione della Difesa.
Roma oggi fornisce un contributo fondamentale all’Agenzia Europea per la Difesa (EDA) ed è lead nation in molti progetti PESCO (Cooperazione Strutturata Permanente) di grande respiro. Si tratta di un’occasione unica per acquisire capacità tecnologiche militari condivise a livello Europeo, a fronte di un ampio burden-sharing e di un indiscutibile risparmio economico per i singoli Stati. Tuttavia, se si osservano le dinamiche di potere che si sono stabilite sin dalle prime mosse della nascente Difesa europea, è innegabile come gli Stati più forti, politicamente ed economicamente, riescano a proiettare una fortissima influenza sul processo decisionale, andando a determinare con risolutezza i requisiti operativi da soddisfare e ad attrarre a sé i maggiori vantaggi, sia da un punto di vista strategico che industriale. Anche in virtù di ciò, a maggior ragione, occorre che l’Italia conservi ed ampli il proprio ruolo di leader nel settore AD&S, anche nell’Europa del prossimo futuro. Il rischio di marginalizzazione non può essere infatti sottovalutato.
Da un punto di vista macroscopico, il cluster della Difesa è una delle punte di diamante del Sistema Italia. Rappresenta l’eccellenza del nostro Paese a livello internazionale, stabilisce e cementa preziosi legami industriali, economici e militari, attira investimenti ed innovazione, traina il nostro export.
Oggi, alle soglie del 2025, dopo aver partecipato alla riunione NATO in Svezia, in un mondo sempre più incerto, l’Italia non può̀ esimersi dalla responsabilità̀ di proteggere i propri campioni industriali, viatici che le permettono di ritagliarsi un ruolo di primo piano all’interno dell’arena globale. Attraverso il Sistema Italia è necessario aumentare le esportazioni di questo settore, in cui lavorano oltre 500mila persone, in modo tale da poter garantire al nostro Paese una posizione più̀ solida e sicura nel medio-lungo termine, da un punto di vista industriale, tecnologico, economico e geopolitico.
E’ importante fare azioni di lobbying nei Paesi esteri con i decision-makers per aumentare la presenza dell’industria italiana della difesa nel mondo.