Michele Santoro non smette di produrre fiction di basso livello, dalla sua posizione privilegiata di anchorman di successo, tra gli amanti del trash e del capestro. Qualcuno, ieri, tra gli invitati a Servizio Pubblico (ci saremmo aspettati solo Maurizio Belpietro, ma ci ha piacevolmente sorpreso la reazione di Cacciari), qualcuno, dicevamo, di fronte all’ennesimo spregio della misericordia e alla perpetrata uccisione di un uomo già morto (o no?), è esploso in un grido di rifiuto e di rivolta.
Ancora una escort pentita a raccontare le sue storie di letto? Ancora una sceneggiata napoletana con attori abilmente truccati per la rappresentazione? A che scopo ripercorrere una storia già nota, metabolizzata, archiviata da tutti, perfino dai partiti avversari, che hanno accettato una coalizione e cercano faticosamente di portarla avanti?
Questi tribunali dell’inquisizione gestiti da capipopolo altezzosi e violenti vorrebbero rieducare a suon di martellate? Datemi un martello da sbattere in testa ai peccatori? Siamo diventati talebani? I nostri soldati muoiono in Afghanistan per combatterli e ce li ritroviamo dentro casa nostra? Troppe le domande retoriche che arrovellano le nostre menti.
Il popolo italiano non è ancora guarito dalla sindrome di Piazzale Loreto, che colpisce i vigliacchi, quelli che passano facilmente dal servo encomio al codardo oltraggio. Non si può dire certo che Santoro non sia coerente con la sua storia personale di odio e di rancore verso quella persona, e per lui la duplice accusa non vale; per lui l’accusa e’ un’ altra: quella di utilizzare la compiacenza di una certa elite culturale per incitare la plebe all’uso dei forconi, reali e metaforici. Allontanare Santoro dai media non sarebbe un editto bulgaro: sarebbe una vittoria della civiltà sulla barbarie.
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