“A tantissimi anni di distanza dalla tragedia mineraria di Marcinelle nella quale persero la vita 262 minatori, quel triste ricordo rappresenta per gli italiani all’estero il luogo simbolo del dolore, del sacrificio umano che ci accomuna e che costituisce l’emblema di numerose, antiche e recenti tragedie del lavoro, diventate per milioni di nostri connazionali – in particolare delle classi meno abbienti di operai emigrati – il tratto più significativo della fuga dalla miseria, dalla povertà di intere famiglie in cerca di alternative di vita per sovvertire il destino segnato dalla rigidità sociale della storia nazionale, che difficilmente avrebbe cambiato la loro esistenza”: è quanto scrive il segretario generale del Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero), Michele Schiavone.
“La mattina dell’8 agosto del 1956 la storia dell’emigrazione italiana si bloccò tragicamente davanti ai cancelli della miniera del Bois du Cazier a Marcinelle e il mondo intero si rese conto dei patemi, delle condizioni disumane a cui erano assoggettati quei lavoratori e le loro famiglie, utilizzati, a loro insaputa, come merce di scambio – mano d’opera contro carbone – per favorire lo sviluppo e il progresso di una civilizzazione dalla quale erano esclusi”, ha aggiunto Schiavone. “Il ricordo di una vita fatta di stenti, di forti limitazioni e di obblighi che circoscrivevano le loro libertà individuali e collettive, riaffiora davanti alle baracche in lamiera nelle quali erano ‘confinati’ i minatori, che a turnazioni scendevano nelle viscere della terra per estrarre il carbone, da usare come fonte energetica nei vari settori produttivi e urbani – ricorda il segretario del Cgie – alla vista di quelle baracche il pensiero non sorregge l’emozione che alimenta la ragione indisposta e refrattaria a tollerare l’indistinta differenza di un imparagonabile confine che delimitava lo stato di sfruttamento della condizione umana da quello animale. Nei cunicoli delle miniere di Marcinelle e in superficie, nelle affollate baracche circostanti, la dignità umanità aveva smarrito la strada e solo il bisogno materiale assieme al senso di solidarietà contribuiva a incoraggiare la forza della volontà di quei lavoratori e delle loro famiglie”.
“La commemorazione di quel sacrificio nel Bois du Cazier, a 66 anni di distanza, non è e non vuole essere un rito per reiterare la ripetitività di un canovaccio passionevole – ha rimarcato – ma l’8 agosto è diventato l’appuntamento con la più alta considerazione dei diritti del lavoro e dei lavori, della libertà di esercitarli liberi da condizionamenti, da restrizioni e per libera scelta. Questa data è il simbolo del riscatto sociale, del riconoscimento delle attività del lavoro, che non deve più essere considerato merce di scambio, né sfruttamento e neanche manovalanza gratuita per acquisire gratificazioni, ma mezzo qualificante attraverso il quale le donne e gli uomini concorrono a costruire società migliori e progredite nelle quali vivere per ritagliarsi un ruolo e un futuro”. “Perciò, Marcinelle, parafrasando Antonio Tabucchi in ‘Viaggi e altri viaggi’ è per noi italiani all’estero il luogo del sacrificio e del riscatto. ‘Un luogo non è mai solo quel luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e, un giorno per caso, ci siamo arrivati’. Le consigliere e i consiglieri del Cgie sono grati ai colleghi belgi che questa mattina, nel sito del Bois du Cazier, hanno deposto una corona d’alloro per ricordare e non dimenticare i minatori periti nella miniera du Bois du Cazier, e con loro anche i lavoratori morti a Mattmark, a Monongah e in altre circostanze in giro per il mondo”, ha concluso Schiavone.