Torna domani, 6 luglio, il Fried Chicken Day, la giornata Internazionale dedicata al pollo fritto, una specialità culinaria “a stelle e strisce” che spopola anche in Italia, amata sempre più anche da chef stellati. Simbolo iconico di serie tv e film di successo (uno su tutti Thelma e Louise), ma anche protagonista intramontabile di street food, mangiato spesso direttamente da cestoni di cartone, il pollo fritto è un piatto che mette d’accordo grandi e piccini e che, nelle versioni più moderne, soddisfa anche i palati più esigenti. Un piatto espressione della passione degli italiani per la carne bianca: secondo Unaitalia, l’associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, nel 2020 le carni bianche sono le più consumate e acquistate dalle famiglie italiane, con il 35% delle quote di mercato a volume, seguite dalle carni bovine (33%) e dalle suine (21%), i cui consumi sono arrivati a 21,5 kg a testa (+1,93%).
E se nell’immaginario collettivo il fried chicken è perlopiù a stelle e strisce, ricoperto di farina o pastella e poi cotto in olio bollente fino a diventare croccante, i modi di prepararlo sono invece tantissimi e, a sorpresa, non solo USA. A rivelarlo il giornalista Adrian Miller alla BBC: se si marina il pollo con agrumi e spezie per poi friggerlo, infatti, si ottiene il pollo fritto guatemalteco; se la marinatura avviene in salsa di soia, zenzero e aglio e il pollo viene ripassato nella fecola di patate e messo in una scatola bento si ottiene il “Tatsuta-age” giapponese. Se invece si frigge il pollo due volte e lo si ricopre con il gochujang, una pasta di peperoncino densa e zuccherata, si ottiene il pollo coreano. Se si sostituisce il gochujang con una pasta di pepe di cayenna intensamente piccante, si avrà il pollo piccante di Nashville.
Una passione, quindi, che non conosce confini ed è divenuta da qualche anno gourmet all’estero (basti pensare a David Chang e al suo pollo fritto gourmet nel cuore di Manhattan) ma anche in Italia e nelle sue più diverse varianti: si va da Niko Romito con il suo Alt a Castel Di Sangro – dove il pollo è marinato con spezie ed erbe aromatiche, cotto a vapore, raffreddato in acqua e ghiaccio e poi fritto a pressione a 170° per 9 minuti – a quello capitolino di Legs a Centocelle, con il suo pollo fritto all’italiana. Fino all’orientale pollo fritto “Tori Karaage” di Yamamoto Eiji (Sushisen – Roma) marinato con soia, sake, mirin e zenzero per finire a quello fritto di Gabriele Bonci inspirato all’”Honey Butter Fried Chicken” di Chicago.
LA STORIA: ORIGINI SCOZZESI, RICETTARIO BRITANNICO O ORIGINI USA?
Dal XVII al XIX secolo, la saggezza convenzionale ha designato la parte Sud degli Usa come luogo di elezione del pollo fritto: un elemento centrale della cucina regionale del Sud, legato alla schiavitù afroamericana.
Ma le origini e la paternità della prima ricetta sono controverse. Alcuni la fanno risalire intorno al 1747 quando apparve nel ricettario britannico “The Art of Cookery Made Plain and Easy” di Hannah Glasse, con tanto di indicazioni sulla marinatura, regola fondamentale per una perfetta riuscita.
Anche il popolo scozzese rivendica l’invenzione del pollo fritto: nel ‘700 molti di loro emigrarono nel Sud America per via della tratta degli schiavi e proprio gli afroamericani, a cui venivano riservate le parti meno nobili del pollo, resero il piatto famoso e popolare ma soprattutto buono. Il loro segreto consisteva nel condire gli scarti con abbondante paprika e spezie, per poi buttarli in olio di palma bollente. Il risultato cominciò ad essere così strepitoso che nelle case degli scozzesi questo piatto veniva consumato quotidianamente, spesso cucinato dagli stessi schiavi assunti come cuochi personali.
Negli Stati Uniti la prima ricetta apparve nel 1824 nel primo libro di cucina regionale americana, “The Virginia House-Wife”, scritto da Mary Randolph, figlia di una famiglia di schiavisti e una lontana parente di Thomas Jefferson. “Tagliateli come per la fricassea, infarinateli bene, cospargeteli di sale, metteteli in una buona quantità di strutto bollente e friggeteli di un marrone chiaro”, scrisse. Una ricetta che secondo la BBC ha stabilito lo standard del pollo fritto per generazioni di cuochi del Sud.
Uno scenario ritenuto probabile dalla BBC è che, tra il XVII e il XIX secolo, gli schiavi afroamericani abbiano iniziato a cucinare il pollo fritto basandosi sulle ricette degli schiavisti scozzesi e che il piatto con il tempo sia stato abbracciato dai cuochi afroamericani come parte della loro tradizione culinaria. Con anni di esperienza affinata nell’abilità del condire e friggere, i cuochi afroamericani fecero sì che il pollo fritto perdesse la sua identità scozzese e diventasse la quintessenza del “Sud”.
I SEGRETI PER UN POLLO FRITTO PERFETTO: GIUSTA TEMPERATURA DELL’OLIO, MARINATURA E SPEZIE, SALSE IN ABBINAMENTO
La giusta temperatura dell’olio è fondamentale per una frittura perfetta: se l’olio è troppo caldo, il pollo sarà bruciato all’esterno e crudo all’interno; se troppo freddo, il pollo diventerà troppo unto. Far bollire l’olio a 370 gradi Fahrenheit è la chiave per renderlo molto croccante all’esterno e succoso all’interno. Parola dello chef Lee Brian Schrager, autore di “Fried & True” il libro che ha riunito oltre 50 ricette di pollo fritto. Non tutti sanno che in Corea un must è anche la tecnica della doppia frittura: si frigge prima in olio vegetale a 275° per 15 minuti e si lascia riposare; per la seconda frittura si usa olio fresco a 400° e si frigge per circa 8 minuti fino a che il pollo non diventa croccante. Nel caso del pollo alla coreana, i pezzi di pollo sono anche ricoperti da una salsa speciale con del lievito in polvere, che rende la pelle del pollo particolarmente croccante.
Per renderlo succoso un ruolo chiave lo hanno anche la marinatura, meglio se per una notte intera, e farina e spezie, che vanno mescolate a seconda dei gusti: si va dal curry ad un misto di salvia, alloro, origano e menta o anche alla polvere di paprika o peperoncino. Il pollo fritto infatti è un piatto tutt’altro che banale! Una delle ricette classiche, è quella della famosa scrittrice Usa Ruth Reichl: ne “La parte più tenera” parla lunga marinatura nello yogurt o nel latticello, un’infarinatura con un mix di spezie (meglio se si utilizza la farina di ceci perché la carne sarà più croccante e dorata), e una cottura in padella con regole precise da seguire: scaldare abbondante olio in maniera graduale, mantenerne la temperatura sotto il suo punto di fumo e aggiungere ad ogni passaggio un goccio di olio d’oliva per evitare che la frittura si bruci.
Non può mancare il “Nashville Hot Chicken” di Sean Brock, ambasciatore della cucina degli Stati Uniti del Sud, e autore di uno tra i Nashville Hot Chicken più apprezzati al mondo. Il suo segreto è una salamoia, arricchita di sciroppo di sorgo dove far riposare i vari tagli di carne per 12 ore. Questi ultimi si passano poi in una farina speziata con noce moscata, coriandolo, pepe di Cayenna. Dopo la frittura, l’ultimo tocco è una salsa ottenuta a partire dal grasso estratto dalla pancetta.
Fondamentali sono quindi anche le salse in abbinamento: si va dalle più classiche e corpose come una cremosissima maionese, una barbecue o una salsa alla senape con pepe nero, a quelle più fresche ed esotiche come una tzatziki a base di yogurt, cetrioli e aglio, una salsa all’aceto con prezzemolo, perfetta soprattutto per accompagnare le alette, o una salsa con dragoncello, creme fraiche e peperoncino per un risultato leggero, fresco e aromatico. Ma spazio anche ai sapori più dolci: d’ispirazione orientale è l’abbinamento del pollo fritto con il miele che esalta il sapore della carne ricoprendo di una glassa ambrata ogni singolo boccone. Per gli sperimentatori regina delle salse è la Comeback, tipica del Mississipi, simile come sapore alla remoulade della Louisiana: realizzata con maionese, ketchup, salsa worcestershire, pepe e chili – nella versione tradizionale – è leggermente acidula e piccante al tempo stesso, perfetta per contrastare il sapore deciso e corposo del pollo fritto. E non mancano le salse leggendarie: da molto lontano arriva la salsa Aioli, di cui si rintraccia una ricetta scritta ad hoc per il pollo fritto in un libro francese intitolato “La cuisine de Victoire”, stampato in Francia alla fine dell’800. Nella ricetta, appartenente ad una donna Madame Marguerite, ci sono 8 spicchi di aglio, 1 cucchiaino scarso di sale fino, 2 tuorli freschissimi, il succo di mezzo limone, olio d’oliva.
Infine, per chi volesse preparare la salsa per la coreana basta una grande casseruola, dove si mescolano burro, peperoncini secchi, zenzero e aglio, e cuocere a fuoco basso. Al gochujang va aggiunto il ketchup, l’aceto e la salsa di soia. Il tutto va bollito leggermente e in chiusura va aggiunto il miele e lo zucchero di canna. Mescolate e versate la salsa sul pollo, guarnite con arachidi schiacciate, semi di sesamo e cipollotto tritato: il risultato è assicurato!