La mia storia “brasiliana”, trenta anni fa, inizia con la tragica morte di Ayrton Senna. Ero arrivato da pochi giorni a Torino, dove per due mesi avrei seguito come ‘tutor’ la formazione di undici giovani dirigenti del sindacato brasiliano nell’ambito di un progetto della Unione italiana del Lavoro in collaborazione con il Ministero degli Esteri e l’Organizzazione internazionale del Lavoro, che proprio a Torino aveva il suo centro di formazione internazionale.
Non conoscevo ancora il Brasile, ma quell’episodio mi servì per conoscere e comprendere lo spirito ed il carattere dei brasiliani in una maniera che non avrei mai potuto immaginare.
L’impatto della morte di Senna – un idolo per tutti i brasiliani – su quel piccolo gruppo fu talmente forte e per certi versi devastante (alcuni si rifiutavano addirittura di proseguire le attività formative) che mi aiutò a capire non soltanto il fortissimo attaccamento del popolo brasiliano con quello che in quel momento era il personaggio più popolare del loro Paese, ma anche la profonda sensibilità e umanità della gente del Brasile, che da lì a un anno avrei imparato a conoscere estesamente grazie al primo contratto che mi avrebbe portato nel settembre del 1995 a San Paolo.
Ayrton Senna non è stato il pilota di Formula Uno a vincere più campionati o singoli gran premi; probabilmente lo sarebbe diventato se alla curva del Tamburello del circuito di Imola un fatale incidente non gli avesse tolto la vita a dieci anni dal suo debutto nella principale competizione automobilistica mondiale. Ma non è il numero dei campionati o dei trofei che conta in questo caso; per il Brasile ma per gran parte del mondo Senna è stato il pilota più coraggioso e spettacolare, ma anche quello con l’umanità più marcante.
Oggi una bellissima scultura collocata nei pressi del luogo dove morì, opera dell’artista italiano Stefano Pierotti, lo ritrae seduto e pensieroso ai bordi della pista, ed è sicuramente il monumento più bello a lui dedicato.
Per noi italiani, che probabilmente avremmo voluto vedere il grande pilota brasiliano terminare la sua carriera a bordo di una Ferrari, il rapporto con Ayrton Senna è speciale e non soltanto per la sua tragica morte avvenuta proprio nel nostro Paese, in “una notte di maggio in una terra di sognatori”, come canta Lucio Dalla nella sua bellissima canzone “Ayrton”.
Senna era a pieno titolo uno dei nostri più illustri discendenti al mondo; nelle sue vene scorreva sangue italiano grazie alla mamma e ai nonni, originari di Porcari in provincia di Lucca e Siculiana in provincia di Agrigento.
Oggi la memoria di Senna è viva soprattutto grazie all’Istituto Ayrton Senna, presieduto dalla sorella Viviane, che mantiene progetti di educazione e formazione a favore di oltre un milione e mezzo di bambini delle scuole pubbliche brasiliane.
In occasione del trentennale della sua morte, che significativamente coincide con i 150 anni di immigrazione italiana in Brasile, anche in Italia saranno diversi gli eventi organizzati per rendere omaggio alla sua memoria.
Sulla tomba del grande pilota di San Paolo del Brasile, c’è una citazione dalla lettera di San Paolo ai romani: “Niente mi può separare dall’amore di Dio”; un riferimento ad un aspetto forse poco noto del pilota, la sua profonda religiosità. «Ogni persona», diceva lui, «ha la sua fede, il suo modo di guardare alla vita. Il modo per trovare questo equilibrio per me passa attraverso la fede in Dio».
Grazie, Ayrton, per la tua breve vita e per i sogni che ci hai regalato anche dopo la tua morte.