In Italia si complica l’effetto del ridotto livello occupazionale. I dati ISTAT non fanno che confermare l’evoluzione di questo pernicioso fenomeno sociale. Mentre nel Paese i sacrifici continuano a gravare anche sull’economia spicciola, sul fronte dell’occupazione si continua a vedere buio. Un buio preoccupante. Dati recenti offrono una visione d’insieme che non promette migliori attese. Più del 10% dei giovani (tra i 18 e i 25 anni) non è ancora riuscito a trovare un’occupazione stabile.
Ma la realtà potrebbe essere peggiore se si prendesse in considerazione anche chi è occupato solo per pochi mesi l’anno. Incoraggiare il lavoro non è solo un impegno politico; ha anche delle profonde implicazioni sociali che non possono sfuggire. Se dalle percentuali si passa ai numeri, il quadro occupazionale è sconcertante: più di un milione e mezzo di senza lavoro e oltre cinquecentomila i sottoccupati (meno di venti ore settimanali d’attività retribuita). Ma non solo. E’ aumentato il numero d’ore di cassa integrazione a fronte di una crescita della produzione industriale sotto il 2% (2012/2016).
Dietro la recessione, indubbiamente, c’è da ricercare una gestione errata delle risorse, favorita da una politica sempre meno interessata alla tutela del sociale. Il fenomeno, ora, ha una valenza generale e i giovani sono in difficoltà più che per il passato proprio per il rientro sul mercato del lavoro dei licenziati in età non ancora pensionabile. Certo è che dal 2010 trovare un’occupazione è sempre più difficile e il potere d’acquisto dei salari è tornato a essere un problema.
Con l’autunno 2017 riteniamo che i prezzi dovrebbero non evidenziare altri picchi patologici. Certo è che, in economia spicciola, non sempre la proiezione dei grandi numeri trova oggettivo riscontro nel quotidiano. Pur senza voler fare del pessimismo a buon mercato, la fibrillazione economica nazionale continua. Sul fronte politico, poi, ogni previsione resta un azzardo sul quale preferiamo non cimentarci.
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