Prima di proporvi una riflessione sulla vicenda delle modifiche alla 459 del 2001, contenute nella legge elettorale nazionale, vorrei fare una premessa.
Nel 2001, dopo l’approvazione della legge ordinaria per l’esercizio in loco del diritto di voto, successiva all’introduzione in Costituzione della Circoscrizione Estero, fummo tutti concordi sulla valutazione – sorretta anche dal parere di eminenti costituzionalisti – dell’unicità e specificità della Circoscrizione Estero. In quell’ottica l’unica vera e logica “rappresentanza” era quella dei residenti all’estero iscritti all’AIRE.
È possibile oggi aprire una discussione sui cambiamenti intervenuti in 16 anni e modificare una legge ordinaria aprendosi a novità importanti intervenute in questi anni? Certamente.
Direi però che:
1. Siamo stati manchevoli nel metodo perché non c’è stata alcuna discussione, né interna al PD né nella rappresentanza comunitaria né nella società civile. E questo nonostante le proposte avanzate dal CGIE e dai Circoli PD nel mondo relativamente alle modifiche da apportare alla 459 del 2001.
2. Non è stata mai aperta una discussione sulla necessità di riportare il testo in un regime di reciprocità. Sicuramente non è stato fatto sul piano costituzionale. Ricordo che in alcuni passaggi dei pareri si citava espressamente che “prevedere una candidatura di un non-residente all’estero poteva sollevare problemi sul piano costituzionale. La storia della parità è venuta fuori dopo la consumazione del “peccato originale”, vale a dire la presentazione dell’emendamento Lupi non ancora riformulato.
3. La parità o reciprocità non sono state raggiunte: anzi oggi esiste una evidente disparità tra chi può candidarsi unicamente nella ripartizione in cui vive, cioè i residenti all’estero, a meno che non compia l’opzione di votare in Italia, e chi invece, i residenti in Italia, prima possono scegliere se candidarsi in Italia o all’estero e poi anche in quale territorio in Italia o in quale ripartizione estero.
4. Se davvero l’intenzione originale, non il peccato, era di consentire la candidatura a chi risiede all’estero ma non è iscritto all’AIRE, una semplice modifica in tal senso avrebbe evitato tante polemiche.
Tutto ciò è avvenuto nel variegato mondo della maggioranza.
Una battuta sulle opposizioni, assenti o confuse. Assente come sempre il MAIE. Confusa la sinistra che ha rispolverato antiche distinzioni del tipo “votano gli italiani all’estero e non votano gli immigrati”, lanciando appelli sullo jus soli: materia sulla quale dall’estero abbiamo fatto più negli anni che questa insignificante sinistra. La destra, gli eredi di Tremaglia, hanno espresso solidarietà ad una deputata che ha dichiarato di essere stata discriminata dalla norma che – copiata da regole già esistenti e in vigore in Italia – preclude la candidatura a chi ha svolto incarichi istituzionali ed elettivi all’estero. E dopo questo accorato quanto puerile appello, si approva un emendamento per rendere felice questa collega che ha personalizzato il dibattito. Anche qui un esempio di “mercato” degli emendamenti. Eccovi la classe dirigente del 2017. Nel 2001 la discussione politica – spesso accesa – era di altro segno e levatura.
Una ragione in più per uscirne con dignità. Buona lettura.
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La strana vicenda della 459 del 2001. Ovvero: le ragioni di un nobile dibattito nel 2001 e di una meno nobile assenza di dibattito nel 2017 (raccontate da Marco Fedi)
La legge 27 dicembre 2001, n. 459, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2002, recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero” è stata oggetto di modifiche in sede di approvazione della legge elettorale.
Queste modifiche partono con un segno politico molto chiaro. Presentate in Commissione Affari costituzionali da Maurizio Lupi, capogruppo di Area Popolare, formazione di maggioranza, prevedevano che i cittadini italiani residenti in Italia potessero candidarsi in più ripartizioni della circoscrizione Estero e in più collegi in Italia, praticamente senza limiti. Fissavano invece un limite preciso per i residenti all’estero: la ripartizione in cui essi hanno residenza. Con una riformulazione, la Commissione Affari costituzionali ha inserito nel testo un limite per i residenti in Italia: ci si può candidare in una sola ripartizione o collegio, quindi si può scegliere dove candidarsi, se in Italia o all’estero: non possono farlo contestualmente all’estero e in Italia. I residenti all’estero non hanno questa facoltà di scelta: possono solo candidarsi nella ripartizione di residenza oppure anche in Italia, esercitando l’opzione prevista dalla legge 459/2001.
Attorno a queste modifiche nascono le più strane analisi. Si sarebbe trattato di un’azione concordata con il PD per consentire la candidatura di varie personalità della politica italiana che rischiano di rimanere fuori dalle prossime candidature nazionali. Una lettura possibile, soprattutto per i partiti che non hanno radicamento all’estero. Il PD ha dichiarato subito che candiderà solo residenti all’estero. Il MAIE che candiderà solo iscritti all’AIRE: chissà, forse in queste due dichiarazioni, o meglio nella differenza semantica tra le due, si celano anche nomi di candidati. Certamente però sarebbe stato più semplice – se si voleva consentire la candidatura all’estero dei non iscritti AIRE – prevedere una semplice modifica al punto b) del comma 1 dell’art. 8 determinando, ad esempio, che anche i temporaneamente all’estero che hanno optato per il voto in una ripartizione della circoscrizione estero possono essere ivi candidati. Quindi questa motivazione è seriamente lacunosa.
Si sarebbe trattato, secondo alcuni, di un favore a chi intende candidare all’estero personalità non candidabili in Italia: in realtà la legge Severino stabilisce che “Non possono essere candidati, o comunque ricoprire la carica di deputato e senatore, i condannati a più di due anni di reclusione per delitti non colposi, quindi compiuti intenzionalmente, per reati punibili con almeno quattro anni. Se la causa di incandidabilità sopraggiunge durante il mandato, la Camera di appartenenza del condannato deve votare la decadenza dalla carica di senatore o deputato”. Ovvio che in tale fattispecie trova applicazione il principio di universalità della pena ai fini della candidabilità del singolo deputato o senatore e pertanto la impossibilità a candidarsi si applicherebbe anche all’estero.
Si tratterebbe di una norma di reciprocità, nel senso che ristabilisce la parità tra cittadini italiani residenti in Italia e all’estero. In realtà, se questa era la nobile intenzione, non solo non raggiunge l’obiettivo ma conferma la disparità: un cittadino italiano residente all’estero può candidarsi in Italia solo esercitando l’opzione, entro tempi regolati dalla legge, e solo nel comune AIRE di ultima residenza, e non può scegliere in quale ripartizione della circoscrizione estero candidarsi, cosa invece possibile al residente in Italia che sceglie due volte, se candidarsi all’estero o in Italia e successivamente anche dove, scelta quest’ultima preclusa al residente all’estero.
Ma anche qui, oltre la sostanza, esiste la forma: chi e quando aveva posto nuovamente all’attenzione del legislatore il tema della reciprocità costituzionale e come? A noi non risultano notizie in tal senso. Il “peccato originale”, cioè l’emendamento Lupi prima che venisse riformulato, nulla aveva di costituzionalmente rilevante ed avrebbe creato le condizioni per una totale subalternità dei cittadini italiani residenti all’estero. Sono certo che dopo 16 anni dall’approvazione della legge la discussione sul comma 4 dell’articolo 8 della 459 del 2001 sia passato alla storia. Ma anche con una nobile discussione che riporto per intero sintetizzandola in questo modo: l’unicità della Circoscrizione estero. Il relatore al Senato, Sen. Soda, illustrando il provvedimento, ricordò che la formulazione dell’articolo 48, che istituisce la circoscrizione estero, al terzo paragrafo riconosce “ai cittadini italiani residenti all’estero il diritto ad una loro rappresentanza politica in ragione della particolare condizione in cui si trovano” e questa “unicità” trova conferma negli articoli 56 e 57 che fissa il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero che resta immutabile, resta costituzionalmente immutabile, qualunque sia il numero degli abitanti. Questo ragionamento politico e costituzionale, allora ed oggi, dovrebbe convincere tutti sulla necessità che i rappresentanti eletti nella Circoscrizione estero debbano essere cittadini italiani residenti all’estero. Per questa ragione con la collega La Marca abbiamo voluto dare un segnale non partecipando al voto sull’articolo 5. Abbiamo votato la legge elettorale, cioè la possibilità concreta di dare al Paese una legge omogenea tra Camera e Senato, dopo il fallito tentativo con il M5S, nonostante i tre voti di fiducia, perché con senso di responsabilità abbiamo dato priorità alle esigenze del Paese.
Rimane l’amarezza per aver volutamente evitato il dibattito. La delusione di tanti che avrebbero voluto modificare la legge che consente l’esercizio in loco del diritto di voto prevedendo i collegi oppure semplicemente migliorando l’attuazione pratica delle norme per migliorarne l’operatività e ridurre i tanti, troppi, voti nulli. La vergogna per un dibattito strumentalizzato dai media e dagli oppositori storici del voto all’estero. Le trivialità ascoltate dentro e fuori dall’aula. La tristezza per coloro che ancora oggi, nonostante l’evidenza, cercano di minimizzare l’accaduto. Il senso di imbarazzo per chi ha cercato di strumentalizzare altri aspetti delle modifiche per puri fini di collegio e la preoccupazione che questo passaggio può indebolire la rappresentanza e portare ad epiloghi di analogo segno.
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