La sentenza che da mesi stava aspettando la comunità italiana residente nella Repubblica Dominicana è finalmente arrivata. L’associazione "Casa de Italia" ha vinto il ricorso al TAR del Lazio, contro la chiusura dell’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo. ItaliaChiamaItalia, appena appresa la notizia, ha contattato il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, per chiedergli un commento a caldo. “Sto entrando in Parlamento e non ho ancora letto nulla, non ne so niente”, ci ha risposto l’esponente della Farnesina. Quando gli abbiamo chiesto di poterlo ricontattare nella giornata di martedì, “sarò in partenza per l’Africa, dove resterò fino a venerdì. Non sarò quindi disponibile”, ci ha risposto. L’appuntamento con Giro, confidando nella sua disponibilità di sempre, è per noi soltanto rimandato.
Con la sentenza del TAR si aprono ora scenari impensabili fino a qualche giorno fa. Bisogna dunque riaprire l’ambasciata d’Italia a Santo Domingo? Come reagirà il governo? Che dirà la Farnesina? In attesa di avere delle risposte in merito, pubblichiamo qui di seguito la sentenza integrale con la quale il TAR dà ragione alla comunità italiana della RD che da oltre due anni ormai si sta battendo per riavere in terra dominicana una ambasciata italiana, o meglio quei servizi consolari di cui anche i connazionali dell’isola caraibica hanno diritto.
LA SENTENZA
Illegittimo il D.P.R. 25 giugno 2014 con il quale è stata disposta la soppressione dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo (Repubblica dominicana).
9731 – 20 luglio 2015 – T.A.R.. Lazio, Sez. III ter – Pres. DANIELE – Est. VERLENGIA – Soc Casa De Italia Inc, Comite’ Ad Hoc per la non chiusura dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo ed aòtro (avv.ti Fichera e Battaglia) c. Presidenza Consiglio dei ministri ed altri (Avv.ra gen. Stato).
Massime
Testo Sentenza
N. 09731/2015 REG.PROV.COLL.
N. 14701/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA, IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14701 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc Casa De Italia Inc, Comite’ Ad Hoc per la non chiusura dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo, ing. Renzo Serravalle, rag. Angelo Carmelo Viro, rappresentati e difesi dagli vv.ti Giovanni Fichera e Febo Battaglia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Alberto Pennisi in Roma, viale Mazzini, 142;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi per legge all’Avvocatura, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del DPR 25 giugno 2014, pubblicato il 13 settembre 2014, con il quale è stata disposta la soppressione dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana),
e di ogni ulteriore provvedimento, connesso e consequenziale;
con motivi aggiunti,
della Delibera adottata dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 4 aprile 2014;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e di Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2015 la dott.ssa Anna Maria Verlengia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, notificato alle amministrazioni in epigrafe il 13 novembre 2014 e depositato il successivo 26 novembre, l’Associazione “Casa de Italia inc.”, il Comitè ad hoc per la non chiusura dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo, nonché i sigg.ri ing. Renzo Seravalle e il rag. Angelo Carmelo Vito, impugnano il DPR 25 giugno 2014, pubblicato il 13 settembre 2014, con il quale è stata disposta la soppressione dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo.
Articolano i seguenti motivi di gravame con il quale deducono:
1) eccesso di potere per assoluto difetto di motivazione e violazione del d.l. 6/7/2012 n. 95 come convertito nella legge 135/2012, evidenziando che il suddetto dpr è stato pubblicato privo di parte motiva;
2) eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta e contraddittorietà, difetto di imparzialità e sviamento di potere, violazione del d.l. 6/7/2012 n. 95 come convertito nella legge 135/2012, in quanto l’Ambasciata della cui soppressione si tratta si colloca al 20° posto tra le 116 Ambasciate Italiane nel mondo per numero di iscritti; è la più grande tra tutte le Ambasciate presenti in America Centrale e nei Caraibi. A Santo Domingo risultano risiedere 9.000 italiani iscritti all’Aire e 20.000 sono presenti stabilmente anche se non iscritti nei registri ufficiali, mentre la presenza di turisti italiani si aggira intorno alle 100.000 unità all’anno, per circa un milione di giornate di presenza sull’isola. A fronte di tali dati le ragioni legate ai risparmi di spesa imposti dalla spending review sono inidonee a giustificarne la soppressione in quanto: la sede dell’Ambasciata è stata donata da una famiglia italiana per uso esclusivo dell’ambasciatore e degli uffici consolari, il corrispettivo economico dei servizi resi dall’Ambasciata consente ampiamente di coprire i costi, l’Ambasciata è un punto di riferimento importante in uno dei paesi con il più alto PIL dell’America Centrale ed inoltre la sua sostituzione con quella di Panama comporterà necessariamente altre spese per adattare le insufficienti strutture alle nuove esigenze, oltre ai disagi per i residenti ed al danno di immagine, derivante anche dalle ragioni sottese alla soppressione e rappresentate dalle pratiche illegali correlate alla facile emissione di visti consolari che si sarebbero eliminate con l’eliminazione della sede.
Con motivi aggiunti i ricorrenti impugnano anche la nota del MAECI con la quale è stato trasmesso il dpr impugnato in forma integrale e deducono l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta, contraddittorietà della motivazione e violazione del d.l. 6/7/2012 n. 95 come convertito nella legge 135/2012.
I ricorrenti insistono nel censurare l’illegittimità della motivazione evidenziando che:
– a fronte delle finalità indicate nel dpr e dei motivi che avrebbero dovuto guidare l’azione amministrativa (impegno a proseguire nell’azione di riorganizzazione degli uffici della rete diplomatico consolare…nel processo di riorganizzazione al fine di migliorare il servizio all’utenza e razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane e finanziarie stanziate a favore del MAECI), che escludono la natura di atto politico del provvedimento impugnato, la soppressione della sede diplomatica di Santo Domingo non risulta conformarsi a tali obiettivi, tanto più che la sede di riferimento diventa quella di Panama collocata a 1500 km, due ore e mezza di volo, penalizzando tutti gli utenti e, quindi, peggiorando il servizio, con rilevanti ricadute anche sul piano occupazionale.
Il Ministero degli Affari esteri si è costituito con atto formale il 28 gennaio 2015 ed in data 4 febbraio 2015 ha depositato vari documenti, tra i quali, una relazione redatta dal Capo del Servizio per gli Affari giuridici nella quale oltre a sollevarsi dubbi in ordine alla ammissibilità del ricorso, si difendono le ragioni del Ministero e la legittimità del decreto del presidente della Repubblica con il quale è stata soppressa la sede diplomatico-consolare a Santo Domingo.
Nella suddetta nota il Ministero espone che la chiusura dell’Ambasciata italiana in Santo Domingo rientra in un più ampio piano di riorganizzazione generale della rete diplomatica italiana, da ascriversi nell’ambito del necessario adempimento agli obblighi dettati dal D.L. del 06/07/2102 n. 95 – convertito il L. 07/08/2012 n. 135 pubblicato in G.U.R.I. del 14/08/2012, consistente nella chiusura di 35 sedi secondo un programma contenuto nel Decreto interministeriale n. 1132 del 19 giugno 2014 tra MAECI e MEF.
Ad avviso del Ministero sono destituite di ogni fondamento le censure delle ricorrenti in ordine ad un mancato risparmio derivante dalla chiusura dell’Ambasciata italiana in Santo Domingo, atteso che dalla riduzione delle sedi diplomatiche italiane (tra cui quella oggetto del ricorso) lo Stato avrebbe tratto un beneficio economico la cui consistenza era stata anche certificata dalla Corte dei Conti e dal MEF ed il cui avallo parlamentare era stato altresì espresso in un parere favorevole della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari).
Si ribadisce la natura di atto politico o comunque di alta amministrazione del DPR impugnato, motivo per il quale l’obbligo di motivazione dell’atto di specie deve ritenersi “attenuato”, e la comunicazione alle istanti deve ritenersi un atto rispondente a spirito di trasparenza del Ministero, piuttosto che un accoglimento della loro richiesta di accesso.
Nella suddetta relazione si formulavano, altresì, dubbi in ordine alla legittimazione delle Associazioni ricorrenti a proporre il ricorso, atteso che “CASA DE ITALIA INC.” non avrebbe prodotto il proprio statuto o l’atto costitutivo da cui poter verificare la sussistenza di requisiti di rappresentatività o stabilità, mentre per il "COMITÉ AD HOC PER LA NON CHIUSURA DELL’AMBASCIATA D’ITALIA IN SANTO DOMINGO" movimento nato in occasione, e con il solo scopo di ostacolare una specifica iniziativa, mancherebbe il requisito dello stabile collegamento con il territorio da cui promana l’interesse diffuso di una popolazione nel suo complesso.
Si conclude precisando che il terreno su cui sorge l’Ambasciata d’Italia non è quello donato – con condizione d’uso- allo Stato italiano nel 1949 dal sig. Angiolino Vicini. Tale terreno, infatti, fu oggetto di esproprio da parte della dittatura Truijillo, e i terreni successivamente appresi dall’Italia (un primo concesso dallo Stato dominicano a titolo di permuta per quello espropriato, un secondo e un terzo acquistati dallo Stato italiano) non coincidono con quello citato dalle ricorrente, né vi grava alcuna condizione.
Le ricorrenti replicano con ulteriore memoria difensiva del 22 maggio 2015 con la quale, nel ribadire e riproporre tutti i motivi di doglianza, aggiungono che:
– il Senato della Repubblica dominicana in una sua nota del 13 aprile 2015, n. 130, manifestava preoccupazione per le relazioni diplomatiche con l’Italia e la sua comunità presente sul suolo dominicano, sia per turismo che per affari, e che tale dichiarazione doveva ritenersi esemplificativa dello stato di caos ingenerato dalla decisione del Ministero;
– il riferimento al risparmio di spesa, operato dal MAECI, in relazione alla chiusura dell’Ambasciata italiana in Santo Domingo non doveva ritenersi corretto, atteso che la nota del MEF da cui trae spunto fa riferimento non già alla soppressione di suddetta sede diplomatica, bensì al generale processo di riorganizzazione della rete diplomatica.
Alla pubblica udienza del 25 giugno 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Preliminarmente occorre esaminare alcune questioni di inammissibilità del ricorso prospettate nella relazione ministeriale con riguardo alla legittimazione attiva dei ricorrenti e alla natura dell’atto impugnato.
Il ricorso è stato proposto da diversi soggetti, l’Associazione Casa de Italia, il Comitè ad hoc per la non chiusura dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo, nonché i sigg.ri ing. Renzo Seravalle e il rag. Angelo Carmelo Vito.
La relazione del Ministero eccepisce il difetto di legittimazione attiva solo in capo all’Associazione ed al Comitato temporaneo.
La prima è una associazione estera, costituita nel 1995, riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica Dominicana, che ha tra i suoi fini, per statuto, quello di “dare continuità, organizzazione ed impulso alle diverse attività ed iniziative espressione del contributo degli italiani allo sviluppo sociale, economico e culturale della Repubblica Dominicana,” “propiziare l’unione della colonia italiana radicata nella Repubblica Dominicana”, “offrire, nella misura delle sue possibilità, diversi benefici e servizi ai suoi associati”.
Lo scopo sociale evidenziato la rende pertanto soggetto esponenziale degli interessi dei residenti italiani a Santo Domingo, con particolare riguardo a tutte le istituzioni e iniziative che possono favorire tale finalità, non ultima la presenza nel territorio di una rappresentanza diplomatica e consolare italiana.
Si tratta, nel caso di specie, di titolarità di interessi collettivi, propri della limitata comunità degli italiani iscritti alla Associazione, sulla cui legittimità ad impugnare un atto con il quale, sopprimendo la sede diplomatica nel territorio dove opera l’Associazione, vengono lesi proprio quegli interessi alla cui tutela è preordinata l’attività della medesima.
L’Associazione, peraltro, ha uno stabile collegamento con il territorio della Repubblica Dominicana, che ne conferma la sussistenza di tutti i requisiti per la legittimazione.
Non è neanche immaginabile che tra gli associati vi siano soggetti in confitto di interesse con la posizione qui azionata dall’Associazione (cfr. Tar Bari, Sez. I, 552/2014).
Per quanto riguarda il Comitato ad hoc le ricorrenti non hanno prodotto documentazione idonea a valutarne la legittimazione, circostanza che, tuttavia, non può incidere sull’ammissibilità del ricorso laddove esso risulta proposto da altri soggetti dotati di legittimazione attiva.
Vero è che la giurisprudenza si è espressa nel senso della esclusione, di regola, della legittimazione ad agire dei Comitati istituiti in forma associativa temporanea, con scopo specifico e limitato, caratterizzati dalla protezione di fatto degli interessi dei soggetti che ne sono parte, e quindi strumentali all’esercizio di una sorta di azione popolare, non ammessa nel vigente ordinamento (Tar Veneto III 327/2006 – Cass. civ., SS.UU., 31 marzo 2005 n. 6744, Cons. Stato, Sez. V, 1 ottobre 2001 n. 5197).
Nel caso di specie la mancanza di elementi di conoscenza in ordine alla composizione del Comitato e alle sue finalità depongono per la sua estromissione dal giudizio senza che, tuttavia, tale estromissione possa incidere sulla ammissibilità del ricorso.
Oggetto dell’atto impugnato è il Decreto del Presidente della Repubblica emesso in dichiarata attuazione dell’impegno a proseguire nell’azione di riorganizzazione degli uffici della rete diplomatico-consolare all’estero, impegno derivante dal d.l. 95/2012 convertito con Legge 135/2012, e tenuto conto della necessità di proseguire con il processo di riorganizzazione della rete suddetta, al fine di migliorare il servizio all’utenza e razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane e finanziarie stanziate a favore del Ministero degli Affari Esteri per l’adempimento dei propri obblighi istituzionali.
Il riferimento al d.l. 95/2012, rubricato “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”(spending review). è da individuarsi in special modo nell’art. 2 del suddetto d.l. ove al comma 5 prevede che:
“Alle riduzioni di cui al comma 1 si provvede, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro il 31 ottobre 2012, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze considerando che le medesime riduzioni possono essere effettuate selettivamente, anche tenendo conto delle specificità delle singole amministrazioni, in misura inferiore alle percentuali ivi previste a condizione che la differenza sia recuperata operando una maggiore riduzione delle rispettive dotazioni organiche di altra amministrazione. Per il personale della carriera diplomatica e per le dotazioni organiche del personale dirigenziale e non del Ministero degli affari esteri, limitatamente ad una quota corrispondente alle unità in servizio all’estero alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, si provvede alle riduzioni di cui al comma 1, nelle percentuali ivi previste, all’esito del processo di riorganizzazione delle sedi estere e, comunque, entro e non oltre il 31 dicembre 2012. Fino a tale data trova applicazione il comma 6 del presente articolo (3)”
Ma se il comma citato riguarda le riduzioni del personale, la previsione che assume rilevanza nel caso di specie è quella di cui al comma 10, ove si legge che:
“ Entro sei mesi dall’adozione dei provvedimenti di cui al comma 5 le amministrazioni interessate adottano i regolamenti di organizzazione, secondo i rispettivi ordinamenti, applicando misure volte:
a) alla concentrazione dell’esercizio delle funzioni istituzionali, attraverso il riordino delle competenze degli uffici eliminando eventuali duplicazioni;
b) alla riorganizzazione degli uffici con funzioni ispettive e di controllo;
c) alla rideterminazione della rete periferica su base regionale o interregionale;
d) all’unificazione, anche in sede periferica, delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali, compresa la gestione del personale e dei servizi comuni;
e) alla conclusione di appositi accordi tra amministrazioni per l’esercizio unitario delle funzioni di cui alla lettera d), ricorrendo anche a strumenti di innovazione amministrativa e tecnologica e all’utilizzo congiunto delle risorse umane;
f) alla tendenziale eliminazione degli incarichi di cui all’articolo 19, comma 10, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (B).”
Dal momento che il Decreto Presidenziale impugnato nulla dispone in via immediata e diretta in merito alla riduzione del personale, le disposizioni applicate devono senz’altro riferirsi alle finalità di cui sopra, elencate al comma 10, ovvero all’attività di razionalizzazione della rete con eliminazione delle duplicazioni ed unificazione delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali.
Ciò premesso l’atto impugnato, con il quale si dà attuazione a tale riorganizzazione, non può definirsi atto politico, in quanto i fini sono stati fissati dal legislatore.
Come puntualizzato dalla giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, “l’atto politico (…) costituisce ipotesi eccezionale – come tale soggetta a stretta interpretazione, anche in applicazione dell’art. 113 della costituzione – di sottrazione al sindacato giurisdizionale di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, ma costituenti espressione della funzione di direzione politica dell’ordinamento.
Secondo la giurisprudenza formatasi sull’art. 31, r.d. 26.6.1924, n. 1054 (ora abrogato e sostituito dall’art. 7, comma 1, 2° periodo del codice del processo amministrativo), il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della amministrazione pubblica ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le amministrazioni anche di rango elevato e di rilievo costituzionale.
Il nostro attuale sistema di garanzie prevede un sindacato giurisdizionale, sia pure circoscritto e riservato ad un Giudice di particolare natura quale la Corte Costituzionale, anche per gli atti legislativi del Parlamento e delle Regioni, sicchè le deroghe debbono essere ancorate a norme di carattere costituzionale (Cass., sez. un., 25 giugno 1993, n. 7075;18.5.2006, n. 11623).
Non sono quindi, per i loro caratteri intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ristretto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico, atti che non sono qualificabili come amministrativi e in ordine ai quali l’intervento del Giudice determinerebbe un’interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri.
Perché possa configurarsi un atto politico è quindi necessario che esso sia emanato dal Governo, ossia dall’autorità cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica (requisito soggettivo), nell’esercizio del potere politico, anziché amministrativo (requisito oggettivo) (Cons. St. Sez. IV, 29.2.1996, n. 217; più di recente, Sez. V, 7.10.2009, n. 6170, 6.10.2009, n.6094)” (così CdS V 2718/2011).
Il Decreto in esame, contrariamente a quanto sostiene il Ministero resistente, attiene ad un potere amministrativo da esercitarsi conformemente alla legge che lo prevede e lo regola.
Esso costituisce un provvedimento concreto, puntuale e direttamente lesivo degli interessi dei residenti italiani nella Repubblica Dominicana e dell’Associazione ricorrente che ha, tra i suoi fini istituzionali, quello di “dare continuità, organizzazione ed impulso alle diverse attività ed iniziative espressione del contributo degli italiani allo sviluppo sociale, economico e culturale della Repubblica Dominicana,” “propiziare l’unione della colonia italiana radicata nella Repubblica Dominicana”, “offrire, nella misura delle sue possibilità, diversi benefici e servizi ai suoi associati”.
Posto che nel caso di specie i fini sono stati fissati dal legislatore, quest’ultimo ha anche individuato alcuni criteri guida dell’azione riorganizzativa, quali l’invarianza dei servizi ai cittadini, l’eliminazione delle duplicazioni, l’unificazione, anche in sede periferica, delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali.
Così delimitato l’ambito di attività regolamentare, l’atto organizzativo in esame si colloca al più tra gli atti di alta amministrazione, con ampi margini di discrezionalità, ma vincolato quanto al fine del miglioramento del servizio attraverso la razionalizzazione della rete diplomatico consolare.
Esso è, peraltro, soggetto al sindacato giurisdizionale sotto il profilo, non dell’opportunità della scelta, ma dell’osservanza delle disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere discrezionale, e, dunque, con riferimento ai canoni della ragionevolezza, coerenza e adeguatezza motivazionale (cfr., ex multis, CdS III 4536/2014).
Da quanto detto consegue l’ammissibilità del ricorso.
I ricorrenti, poi, impugnano l’atto sotto vari profili, tra i quali l’eccesso di potere per illogicità manifesta e violazione della legge 135/2012.
Le suddette censure sono fondate.
La soppressione di una delle più rilevanti sedi consolari dell’America Centrale, in un territorio ove sono presenti, in pianta stabile, circa trentamila italiani, diverse imprese commerciali nazionali, meta turistica di circa 100.000 connazionali, è una scelta organizzativa che, oltre a porsi in palese violazione del criterio dell’invarianza dei servizi, indicato nel decreto legge sulla spending review di cui vorrebbe costituire attuazione, laddove la sede che la sostituisce si trova a 1500 km ed è raggiungibile solo in aereo e con alti costi, appare illogica ed incoerente con le stesse finalità indicate all’interno del decreto presidenziale che la contiene.
Le circostanze di fatto, indicate dai ricorrenti e rappresentate dall’essere la sede diplomatica di Santo Domingo la ventesima nel mondo in ordine di importanza, punto di riferimento per i circa 30.000 residenti di nazionalità italiana, meta annuale di centomila turisti e dal costituire la più grande sede diplomatica dell’America Centrale, non hanno trovato smentita nella relazione prodotta dall’Avvocatura erariale.
Non si comprende, alla luce delle dimensioni della sede di Santo Domingo e dell’interesse economico che tale territorio ha per molte imprese italiane, la scelta di sopprimerla, identificandola tra altre di minori dimensioni nel bacino territoriale dell’America Centrale.
Pare, poi, senz’altro da escludere che tale soppressione possa compensarsi con la presenza di un Consolato Generale Onorario e con la futura predisposizione di una Sezione Distaccata dell’Ambasciata a Panama presso la locale Delegazione dell’Unione Europea. Nulla si dice a tale riguardo sugli uffici e sui servizi che tale sezione potrebbe o dovrebbe avere, con ciò aggirando il problema della continuità ed efficienza dei servizi.
Il fine al quale era vincolato il Ministero, ovvero quello dell’invarianza dei servizi, quando non quello del miglioramento della rete diplomatico-consolare, come si legge nelle premesse del Decreto gravato, è stato certamente ignorato nel momento in cui si è individuata quale sede sostitutiva l’Ambasciata d’Italia a Panama, distante 1500 km, raggiungibile solo in aereo con i poco sostenibili costi di viaggio.
A fronte di tali osservazioni il Ministero ha omesso qualsivoglia indicazione in ordine ai criteri sulla base dei quali ha identificato le sedi da sopprimere ed, in particolare, le ragioni per le quali, tra altre sedi dell’America Centrale presenti sulla terraferma, ha individuato proprio la sede di Santo Domingo.
Quanto agli obblighi di riduzione della spesa pubblica, sembra evidente che dovendo comunque garantire a Panama i servizi consolari per le decine di migliaia di residenti italiani di Santo Domingo, come anche dei numerosissimi turisti, ciò comporterà ulteriori spese per l’ampliamento della struttura ivi presente, quando non anche un aumento dell’organico.
Il vantaggio che si dichiara in termini economici non è correttamente calcolato, dovendosi inevitabilmente computare i maggiori costi che dovrebbero essere sopportati per adeguare la sede Panamense all’aumentata domanda e senza considerare i costi di quella “rete consolare onoraria” che si intende rafforzare in luogo della sede istituzionale.
Quanto alle invocate economie di scala, richiamate dalla relazione ministeriale, esse presuppongono una pregiudiziale valutazione comparativa delle sedi che nel caso di specie non risulta essere stata effettuata e della quale non vi è comunque traccia.
Oltre a ciò, la situazione economica della Repubblica Dominicana e quelle che lo stesso Ministero definisce come intense relazioni diplomatiche con il governo locale rendono ancora più distante dai canoni di ragionevolezza la scelta operata.
L’accoglimento degli scrutinati motivi determina l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Solo per completezza, deve accennarsi alla tesi, sostenuta dai ricorrenti, in forza della quale la decisione di sopprimere la sede diplomatico consolare di Santo Domingo deriverebbe dalle illegalità ivi consumate nella gestione dei visti.
L’argomento viene speso a sostegno della sussistenza dell’ulteriore vizio di legittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento, in quanto si sarebbe utilizzato uno strumento, quale quello della riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, per una diversa e non prevista finalità.
La censura non può trovare accoglimento.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che lo sviamento di potere consiste nell’effettiva e comprovata divergenza tra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso.
Pertanto la censura di sviamento va supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua funzione tipica, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355 e T.A.R. Lazio Sez. II 5785 – 25 giugno 2012).
Le notizie raccolte in ordine a tale motivazione del gravato provvedimento, anche se provenienti da fonti informate e propalate dagli organi di stampa, non emergendo da atti ufficiali del procedimento, non assurgono a prove sufficienti del denunciato sviamento.
In conclusione, pur dovendo riconoscere all’atto organizzativo impugnato la qualifica di atto di alta amministrazione, dotato di ampia discrezionalità, lo stesso non risulta scevro dalle sopra scrutinate censure di eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza con riguardo alle finalità che l’attività svolta doveva perseguire, laddove sopprime, con prevalenza su altre sedi di minore dimensione, una sede di rilevante importanza nell’area geografica del centro America, meta turistica d’elezione di centinaia di italiani ogni anno, nonché luogo di residenza di una più che consistente comunità italiana e sede di numerose iniziative imprenditoriali del nostro paese.
Il ricorso va, pertanto, accolto e, per l’effetto, annullato il d.p.r. DPR 25 giugno 2014, con il quale è stata disposta la soppressione dell’Ambasciata d’Italia in Santo Domingo (Repubblica Dominicana), fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
La assoluta novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Mario Alberto di Nezza, Consigliere
Anna Maria Verlengia, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
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