Ha ragione Ricardo Merlo quando sostiene che non i nostri connazionali non ce la fanno più con i pessimi servizi consolari che ricevono, consolati non in grado di dare risposta alle migliaia di richieste di riconoscimento della cittadinanza e di emissione o rinnovo del passaporto. A poco a poco la Farnesina ha imposto il sistema di prenotazione dei turni per via telematica, che è diventato una lotteria.
I pochi turni concessi di volta in volta dalle varie sedi consolari sono assolutamente insufficienti a smaltire tutte le pratiche iniziate o da iniziare. Creando le condizioni perché ci siano i furbi che se ne approfittano, trovando il modo di mercanteggiare grazie ad un sistema che non è trasparente. Ne è la prova la denuncia fatta dall’on. Fabio Porta nel mese di gennaio scorso.
Porta, deputato Pd eletto in Sud America e Presidente del Comitato italiani nel mondo della Camera, aveva chiesto al governo italiano di intervenire per contrastare i fenomeni speculativi sorti a seguito delle grandi giacenze di domande di cittadinanza in Brasile, che avevano favorito il moltiplicarsi di agenzie specializzate nella vendita di prenotazioni on-line per il rinnovo dei passaporti e di servizi vari per il riconoscimento delle cittadinanze. Nella risposta all’interrogazione del parlamentare, il viceministro agli Esteri Mario Giro ha ammesso la portata dei problemi, riconoscendo rigidità in alcune procedure e mancanza di personale.
Merlo ha ragione anche quando dice che se la legge sulla cittadinanza stabilisce certi requisiti per il riconoscimento, lo Stato deve garantire i mezzi necessari per consentire a chi ha le carte in regola, di accedere alla cittadinanza e al passaporto. Specialmente perché visto che la trasmissione avviene ius sanguinis, non si tratta di “chiedere” la cittadinanza bensì di vedersela “riconosciuta”. In altre parole, si è cittadini se si è discendenti di un italiano che non ha rinunciato alla sua cittadinanza italiana prendendone un’altra. Le pratiche che si fanno presso i consolati consistono nel dimostrare – presentando le carte richieste – l’ascendenza italiana.
Se si tratta di una legge “troppo generosa”, come sostiene qualcuno, è un’altra storia. Finché c’è, la legge è questa e va rispettata. Se qualcuno non è d’accordo, può adoperarsi perché venga modificata.
Inoltre va ricordato che per iniziare la pratica ogni persona deve pagare una tassa di 300 euro. Una somma non indifferente per molti residenti nell’America Latina che è diventata un tesoretto per l’erario italiano.
Solo recentemente è stato accettato che un terzo di quanto riscosso potrà ritornare ai servizi consolari, ma senza l’impegno ad essere utilizzato per far fronte alle numerose domande di riconoscimento della cittadinanza e o a contrattare più personale o a dare più turni.
E’ evidente che le ragioni per protestare ci sono, e non solo per i disservizi consolari. I famigerati tagli, che mai risparmiano i capitoli che riguardano gli italiani all’estero, continuano a colpire o minacciare i fondi per le scuole e i corsi di italiano, i bilanci dei Comites, i fondi per i Patronati all’estero. E le minacce riguardano anche la volontà trasversale di una parte della politica di cancellare il voto all’estero.
E’ lecito domandarsi perché solo ora il MAIE ha deciso di muoversi? Solo ora che nei fatti è aperta la campagna elettorale, anche se non si sa ancora quando si terranno le elezioni? E perché non coinvolgere nell’iniziativa le istituzioni della collettività, specialmente dove esse esistono come in Argentina, invece di chiedere la loro adesione a scatola chiusa? Ragioni per protestare, per reclamare l’attenzione della politica italiana, non mancano per cui l’iniziativa lanciata dal Maie è assai giustificata. Ma è anche una chiara mossa politica, quando la convocazione è per protestare per “svelare agli occhi di tutti quali siano stati gli effetti di quattro anni di Governo PD sulla politica per gli italiani all’estero”, come ha detto l’on. Mario Borghese.
Il Maie usufruisce del vantaggio strategico di essere opposizione, di non avere responsabilità di governo, come ha la sinistra oggi e ha avuto la destra ieri. “Tagliare i ponti con le comunità mi ferisce emotivamente, ma non mi rovina la vita o mette in difficoltà la mia comunità. È l’Italia che perde”, diceva l’altro giorno il sen. Claudio Micheloni, presidente del Comitato per le questioni degli italiani all’estero del Senato, parlando ai consiglieri del CGIE sulla continuità della politica dei tagli. Sarebbe bello se tutti i parlamentari operassero insieme quando si tratta di temi che ci riguardano. E che lo facessero coordinatamente con i Comites e il CGIE. Ma purtroppo non è così. E’ la politica.
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