Il referendum costituzionale, piaccia o no, è diventato a tutti gli effetti un referendum su Matteo Renzi e il suo governo. Questo è ormai sempre più evidente, in Italia e anche oltre confine. Giusto sarebbe valutare la riforma nel merito e ci si renderebbe conto che non tutto è da buttare via, anzi. Ma questo è un discorso che richiederebbe razionalità, mentre gli italiani stanno ragionando con la pancia e non con il cervello. Questo è il periodo che stiamo vivendo e bisogna prenderne atto.
“Renzi vota Sì? Io voto No”, “No per mandare Renzi a casa”, “No alla schiforma di un premier abusivo e un governo illegittimo”: queste le motivazioni più frequenti del popolo del No. E allora, nonostante la voglia di mantenere la discussione nel merito, ci si rende anche conto che è assai complicato, se non impossibile, fermare uno tsunami. Uno tsunami che è stato lo stesso premier a scatenare, quando ha detto “se perdo il referendum vado a casa e smetto di fare politica”. Un assist perfetto per Grillo, Salvini, Brunetta e compagnia, divisi su tutto ma uniti contro il presidente del Consiglio e il suo esecutivo.
Eccolo il primo errore di Renzi, dunque: avere personalizzato il referendum. Ma il premier ha commesso un altro errore: ha pensato di poter vincere da solo contro tutti. Sia chiaro: se vincerà il Sì l’ex sindaco di Firenze sarà l’uomo più forte d’Europa. Gli andrà riconosciuta la vittoria e il merito di una campagna referendaria portata avanti con coraggio e determinazione. Ma se al contrario sarà il No a prevalere, verranno a galla i difetti di Matteo, primo tra tutti la sua presunzione.
Personalmente, mi piace un premier convinto della bontà delle proprie idee e determinato nel portarle avanti. Tuttavia, non possiamo dimenticare che in politica è necessario sempre trovare il giusto compromesso per arrivare al risultato. Renzi questo non l’ha fatto. Almeno, non come avrebbe dovuto. E’ il famoso discorso delle “riforme condivise”: è vero che Silvio Berlusconi ha accompagnato le riforme all’inizio, ma poi c’è stato lo strappo, con l’elezione del presidente del Quirinale il patto del Nazareno si è rotto e il leader di Forza Italia ha cambiato il proprio percorso. Forse ha sbagliato, ma se è così allora l’errore è stato anche di Renzi, che ha consentito al Cavaliere di trovare l’appiglio a cui aggrapparsi per tornare ad essere opposizione pura.
Non possiamo sapere come andrà a finire. Presto tutto sarà deciso e usciremo da questo tunnel referendario che ha diviso l’Italia. Intanto Sì e No si rincorrono nei sondaggi e il No è sempre in vantaggio. Renzi, consapevole dell’errore commesso all’inizio del percorso, ha fatto per un po’ marcia indietro rilasciando ai media e in giro per il Paese dichiarazioni più attinenti al quesito, ma domenica scorsa, da Fazio, è tornato ad affermare che non è uomo da galleggiamento, sottintendendo che la vittoria del No sarà per lui dirimente. Del resto, come si può pensare che un governo nato per fare le riforme, possa sopravvivere a una bocciatura così importante?
Dunque sì, forse Renzi ha sbagliato, e certamente risulta poco simpatico a tanti cittadini che sulla propria pelle sentono la gravità di una crisi economica difficile da superare, ma la domanda è d’obbligo: opposizioni così diverse nei programmi, chiaramente ansiose di rivalsa, non avrebbero trovato ugualmente l’unico comune denominatore possibile per unificare la loro battaglia di scardinamento e preparare l’uscita di scena di un leader obiettivamente scomodo che risulta anche nei sondaggi più forte dei suoi attuali rivali? Solo l’alleanza tra comuni nemici può avere speranza di vittoria. E Salvini, Grillo e Berlusconi lo hanno capito. Quando costoro scopriranno le loro carte sarà tardi per tornare indietro. E il percorso per un governo stabile e produttivo sarà lungo e complicato. Sarà quel 40% di indecisi a cambiare le sorti della partita, in un senso o nell’altro.
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