Caro Emanuele, come avrai visto abbiamo pubblicato su ItaliaChiamaItalia il tuo intervento a proposito di referendum, nel quale spieghi perché secondo te è giusto votare no. Lo abbiamo fatto perché da sempre il nostro giornale è dibattito e confronto. Visto che però tu sollevi nel tuo articolo alcuni interrogativi a proposito di certi aspetti della riforma – “mi spiegate perché…?” -, vorrei provare a darti delle risposte.
Scrivi che la riforma prevede una riduzione di costi del Senato solo di 50 milioni di euro. Sbagliato. Sono 50 milioni di euro SOLO IN STIPENDI. A questa somma devi aggiungere tanti altri bei milioni di euro che, se passasse il Sì, potrebbero essere utili alle famiglie italiane più bisognose piuttosto che a 300 e passa poltronari parcheggiati comodamente a palazzo Madama. Devi aggiungere, per esempio, i rimborsi ai gruppi parlamentari. Solo il M5S ne riceve ogni anno per quasi 2 milioni e mezzo di euro. Il Pd naturalmente ne prende molti di più, avendo un maggior numero di senatori. Ma la riforma non guarda in faccia a nessuno e non fa differenza tra le forze politiche, non potrebbe essere altrimenti del resto. E così se vincesse il Sì decine e decine di milioni di euro verrebbero risparmiati, i poltronari di professione dovrebbero andare a cercarsi un lavoro vero e rinunciare a quello stipendio e a quei privilegi a cui sono tanto affezionati.
Scrivi ancora: “Chi sostiene le ragioni del Sì mi deve spiegare come fa un sindaco ad occuparsi dell’amministrazione comunale e nello stesso tempo fare il senatore. Quale dei due ruoli trascurerà?”. Ti rispondo subito: nessuno. Questo perchè il nuovo Senato non sarà come quello di adesso, nel quale gli alti papaveri vanno a bivaccare tutti i giorni. Non ci sarà necessità di riunirsi quotidianamente, visto che la seconda camera avrà molto meno potere rispetto a quello che ha adesso. E così i due ruoli potrebbero essere perfettamente complementari. Anzi, è giusto che chi rappresenta una grande città o chi siede all’interno del consiglio regionale possa avere l’opportunità di rappresentare le istanze del territorio nel Senato che propone la riforma. Sarebbe un orgoglio per il sindaco di qualunque città d’Italia. E per i suoi cittadini.
Piccola parentesi: io sono un giornalista che cerca di campare dignitosamente e per questo devo fare più di due lavori, sempre in ambito giornalismo e editoria. Riesco a farlo, organizzandomi al meglio. E nessuno, finora, si è mai lamentato del mio lavoro e nessuno ha ancora messo in discussione la mia professionalità. Chiusa parentesi.
Vengo al successivo interrogativo da parte tua, caro Emanuele. E’ il seguente: “Mi spiegate perché per le iniziative popolari verrà aumentato il numero delle firme? Un Paese che si definisce democratico deve garantire a tutti di partecipare alla vita politica e di cambiare leggi malfatte”. Sacrosanto. E infatti la riforma va proprio in questo senso. Te lo spiego subito perché. Quante proposte di legge sono state presentate nel corso degli anni? Diverse. Anche da parte di italiani nel mondo. Quante sono state discusse? Nessuna, o quasi. Questo perché il Parlamento non è obbligato a mettere all’ordine del giorno le pdl, che così rimangono molto spesso a prendere polvere in qualche cassetto del Palazzo. Con la riforma, invece, pur dovendo raccogliere un maggior numero di firme – 100mila in più, passando da 50.000 a 150.000 – per presentare un disegno di legge popolare, i cittadini avranno LA GARANZIA che quelle proposte verranno esaminate dalla Camera, che dovrà indicare tempi precisi per l’analisi delle stesse. Dunque? Io preferisco raccogliere un maggior numero di firme (se il tema è sentito dagli italiani non sarà difficile farlo, in particolar modo nell’era di internet) e avere la certezza che il Palazzo prenderà in considerazione la proposta, la valuterà e mi darà una risposta. Tu no?
I tuoi interrogativi, quelli più espliciti, a cui tu cercavi risposte, finiscono qui. Non so se ti riterrai soddisfatto, ma tant’è.
Verso la conclusione del tuo intervento, parli anche di una riforma che riduce la presenza degli italiani all’estero in Parlamento. Beh, i numeri parlano chiaro: i 18 parlamentari eletti all’estero se passasse il Sì diventerebbero 12. Resterebbero solo i deputati, via i senatori. Ma se invece di guardare al dito guardassimo alla luna, capiremmo che l’attuale riforma ha voluto garantire la rappresentanza degli italiani all’estero nell’unica camera che conterà davvero, quella dei deputati. Questo è senz’altro un importante riconoscimento al mondo dell’emigrazione. Deputati che, in una Camera più forte, potranno essere più incisivi, probabilmente ancor più di quanto non lo siano stati negli ultimi dieci anni. E poi, vogliamo dirla tutta? Non possiamo votare No a una buona riforma perché cancella sei senatori eletti oltre confine. Questo più che agli italiani nel mondo è un punto che interessa ai candidantropi, a quelli che all’estero si stanno già preparando per la campagna elettorale e che sognano un seggio a palazzo Madama. Sono sei poltrone in meno, per chi ancora non ha rinunciato all’idea di diventare senatore. Se passasse la riforma, però, il grande sogno si scioglierebbe come neve al sole.
Caro Emanuele, leggo nelle tue parole tanto di ciò che leggo sul blog di Grillo (eh sì, lo seguo anche io, io seguo tutto) o di ciò che scrive quel Marco Travaglio che ha fatto la propria fortuna dicendo no a tutto e a tutti. L’ho già detto, la riforma migliore del mondo non esiste perché non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Prendiamoci quello che oggi possiamo portare a casa con un Sì al referendum e poi con una sola Camera sarà più facile smussare qualche angolo legislativo. Non perdiamo l’occasione di far fare all’Italia un salto in avanti.
Discussione su questo articolo