“Il confronto che si è tenuto presso il MAECI tra il Direttore Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie, i referenti dei patronati e i parlamentari eletti all’estero ha rappresentato un’importante gesto di attenzione verso gli stessi e le loro esigenze. Ma anche l’occasione per discutere e confrontarsi sul ruolo dei patronati, sulle loro potenzialità, sulle opportunità ma anche sulle anomalie funzionali e sulla loro configurazione giuridica”. Lo scrive in una nota il Sen. Aldo Di Biagio, eletto nella ripartizione estera Europa.
“Una questione che assume grande rilievo non solo in relazione alla qualità dei servizi che lo Stato può e deve garantire ai nostri connazionali, ma soprattutto perchè è necessario fare chiarezza una volta per tutte sul reale onere che le istituzioni vogliono assumersi nei confronti delle comunità oltre confine.
In occasione del confronto presso il MAECI, infatti, si è discusso proprio delle possibilità sul lungo periodo di definire nuovi percorsi di collaborazione anche nella prospettiva di supportare le attività istituzionalmente delegate alle strutture consolari.
Proprio su questa prospettiva però ritengo che sia opportuno esprimere la mia opinione con molta franchezza, l’opinione di chi ha molto rispetto e considerazione per l’opera meritoria che svolgono i patronati, in particolare quando operano con abnegazione e nell’interesse della collettività.
E lo dico da persona che in passato ha rivolto il proprio impegno nei patronati all’estero a supporto dei nostri connazionali. E da parlamentare nelle diverse leggi di stabilità mi sono speso contro il depauperamento di risorse che sarebbe andato a danno dei patronati stessi”.
“Bisogna però inserire una riflessione imprescindibile – prosegue Di Biagio – al fine di salvaguardare la legittimità operativa dei patronati da un lato e l’indelegabilità delle attività statali dall’altro al fine di evitare un precedente pericoloso che potrebbe compromettere i già delicati equilibri che al momento condizionano le relazioni tra le nostre comunità e l’Italia.
E ciò a maggior ragione in una stagione in cui si assiste ad un ridimensionamento esponenziale della rete consolare che sembrerebbe rendere quasi ineluttabile la sua sostituzione con qualcos’altro purché capace di fornire risposte.
I patronati sono da decenni l’interfaccia dei nostri connazionali con gli enti italiani: una figura significativa ed imprescindibile che con il tempo si è radicata a livello territoriale diventando un riferimento e talvolta un porto sicuro per il connazionale, soprattutto quando distante da strutture diplomatico-consolari di riferimento.
Il patronato aveva una sua mission, figlia dei suoi tempi, che però deve evolversi e rinnovarsi, non può considerarsi immutata soprattutto se si scrutano i dati relativi all’attuale configurazione dei cittadini emigrati (giovani laureati e professionisti) che non rientra pienamente nei parametri dell’utenza-tipo del patronato.
Ed è proprio partendo da questa premessa, che si rende necessario che i patronati si confrontino seriamente su una loro riforma che vada nella direzione di una sempre maggiore trasparenza e professionalità.
V’è infatti da dire che non sempre le associazioni locali che fanno capo ai patronati hanno operato nel rispetto della legge, ve ne sono state alcune che con le loro condotte illecite hanno gettato discredito nei confronti dei loro referenti nazionali e messo in crisi il rapporto di fiducia con gli utenti.
Così come altre associazioni locali hanno finito per utilizzare il loro ruolo per coltivare velleità politiche.
Tali condotte dei patronati trovano anche la loro agibilità a causa di un vuoto entro il quale questi con il tempo si sono inseriti sempre più, anche a causa di una complessità e farraginosità normativa nel tempo non rettificata.
Ciò spinge ad un ulteriore approfondimento: si è detto infatti in molteplici occasioni come si configurano giuridicamente i nostri patronati all’estero che operano spesso attraverso la costituzione nel Paese straniero di un’associazioni di diritto locale legata giuridicamente al patronato nazionale da una specifica convenzione nella quale sono sanciti i termini dell’attività, delle responsabilità e delle relazioni operative tra la struttura centrale e la specifica sede periferica.
Quindi si tratta prima di tutto di soggetti privati, sottostanti alla normativa locale il cui legame con la normativa italiana appare per interposta struttura attraverso una semplice convenzione, pertanto l’opportunità di una sorta di delega dello Stato ai suoi doveri di supporto istituzionale potrebbe essere facilmente impugnata prima di tutto in punto di diritto, ma direi senza voler scendere nel dettaglio anche in punto di bilancio.
Ciò che appare paradossale, ma è al contempo significativo è che proprio nelle circoscrizioni consolari oggetto di razionalizzazione da parte del MAECI si sono verificate nuove aperture di patronati.
In Germania ad esempio, dove si è verificato il numero maggiore di installazioni, nel solo distretto di Francoforte sussistono n.17 uffici di Patronato a fronte di un ufficio consolare e nel distretto di Friburgo n.13 uffici di Patronato a fronte di un ufficio consolare.
Come dicevamo in precedenza, è da considerarsi superata la mission originaria dello stesso patronato, non solo perché fisiologicamente ridotto il bacino di utenza storicamente di riferimento ma anche perché l’auspicio, condiviso anche dall’amministrazione, è sempre stato quello di rendere sempre più autonomi, e interattivi i cittadini rispetto ai servizi disponibili sotto il profilo digitale ed è in quella prospettiva di ammodernamento e razionalizzazione che dovrebbe orientarsi il Maeci invece di intraprendere anacronistici progetti che vanno in direzione contraria ad una moderna evoluzione della figura e del ruolo del patronato.
É infatti evidente che l’incremento della presenza dei patronati oltre confine, insieme ad una massimizzazione della collaborazione con il MAECI, altro non sarebbe che una trasformazione da semplice associazione privata di diritto straniero ad una diretta emanazione dello Stato italiano, una sorta di delocalizzazione dello Stato, in totale deroga rispetto a quanto sancito dalla normativa vigente: e come si potrebbe pretendere indipendenza, trasparenza, garanzia da un’associazione privata di diritto locale?
Si assisterebbe ad una trasformazione di fatto del patronato da centro di pubblico servizio a struttura istituzionale senza che però ciò sia accompagnato da un aggiornamento della normativa di riferimento.
Ma è questa la strada giusta da percorrere? Io credo di no. Sono infatti convinto che una Stato di diritto non possa derogare alle sue competenze attraverso una impropria “devolution” che sia tale solo nei fatti. Ma ancora mi chiedo, è davvero questo di cui ha bisogno la nostra collettività?
Partire da un’analisi dei reali bisogni dei nostri connazionali all’estero potrebbe fornire una chiave di lettura indispensabile: il numero dei cittadini bisognosi di supporti del patronato si sta ridimensionando anche a seguito della mutazione del bacino di utenza, e nel contempo si sta incrementando il numero dei cittadini che, pienamente operativi, necessitano invece di una effettiva presenza delle strutture consolari con cui confrontarsi”.
“A fronte di queste considerazioni ritengo quindi prioritario da un lato riuscire a fornire risposte a questa utenza anche con formule alternative di presenza consolare, con sportelli itineranti e strumenti di confronto digitale funzionanti e pienamente efficaci, quindi una vera e propria semplificazione. Dall’altro contribuire ad una riforma moderna del ruolo e della funzione dei patronati che parta dal loro interno. Ciò che immagino è infatti un Paese moderno ed efficiente – conclude il senatore – che abbia la capacità di fornire servizi adeguati e un patronato che acquisti consapevolezza del suo ruolo e delle sue funzioni in quadro rinnovato e che sia pronto ad affrontare nuove sfide”.
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