Basta trattarci come cittadini di serie B, basta attese vergognose di anni per avere un turno per ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana o di mesi per poter rinnovare il passaporto. Basta servizi consolari ridotti all’osso, mentre per ogni pratica di cittadinanza iniziata, lo Stato italiano riscuote 300 euro di tassa. Sono alcune tra le numerose lagnanze delle comunità italiane residenti nei paesi dell’America Latina, che venerdì 7 aprile si sono manifestate davanti alle sedi consolari del continente.
Anche a Buenos Aires, sede del consolato che registra il più alto numero di cittadini italiani fuori d’Italia, la comunità si è radunata davanti al moderno palazzo del Consolato per reclamare al governo italiano un cambiamento profondo nei servizi consolari.
Con caratteristiche proprie di ogni città e paese, le manifestazioni promosse dal MAIE dell’on. Ricardo Merlo, hanno ricalcato la richiesta al governo italiano di migliori servizi consolari.
Le sedi consolari italiane nell’America Latina stanno vivendo una situazione ai limiti della decenza. Il sistema di assegnazione di turni per via telematica sembra poco trasparente e nei fatti si è rivelato insufficiente o inefficiente per dare risposta alle migliaia di persone che ogni giorno chiedono un turno il riconoscimento della cittadinanza presso i consolati italiani in Argentina, Brasile, Cile, Venezuela, Uruguay e negli altri paesi del continente.
Di fronte a tale domanda, i successivi governi italiani, cominciando da quello di Berlusconi nel 2008, passando per Monti, Letta, Renzi e quello attuale presieduto da Gentiloni, non solo non hanno affrontato il problema, ma l’hanno resto più grave. I famosi tagli al bilancio, la “spending review”, le manovre e manovrine, approvate dal centrodestra all’epoca del Cavaliere e dal Pd e soci durante i governi di emergenza e di centrosinistra, hanno avuto semplicemente lo scopo di risparmiare, riducendo i fondi necessari per mantenere un servizio consolare minimamente efficiente. Ragion per cui, al di là della bravura, capacità e buona volontà dei consoli e del personale delle sedi consolari, da anni la situazione diventa sempre più insostenibile.
Passano i giorni e non accenna a ridursi il numero dei discendenti di italiani che chiedono il riconoscimento della cittadinanza italiana. Il riconoscimento, si badi bene, perché in base al principio dello ius sanguinis, chi è discendente di italiani, anche se nato all’estero, è cittadino italiano. In altre parole, non sono – almeno secondo la legge italiana – stranieri che chiedono di diventare cittadini del Bel Paese, ma persone che lo sono già. La pratica serve per presentare le carte che attestano che effettivamente sono italiani, perché discendenti di italiani che non hanno perso la loro cittadinanza.
In questa situazione si trovano milioni di persone, nate cittadine dei paesi dell’America Latina. Per dire, a Curitiba, nel Brasile, stanno dando turni per l’anno 2023! A Montevideo hanno chiuso il consolato, in un paese di antichissima presenza italiana (tra l’altro garibaldina) nel quale risiedono 130mila cittadini italiani. Per dare servizi consolari a queste migliaia di persone, ci sono 17 persone, se si conta anche l’Ambasciatore.
Per reclamare contro questa situazione che presenta assurdi e paradossi, il Movimento Associativo degli Italiani all’Estero ha promosso la giornata di protesta di venerdì 7 aprile, in tutte le sedi consolari. Uno sforzo di organizzazione che nessun altro partito o associazione è in grado di fare. Una prova del radicamento del movimento presieduto da Merlo nel vasto territorio latinoamericano. Una dimostrazione di forza, come è stato anche per il voto nel referendum di novembre in favore del sì alla riforma costituzionale, nel quale il Maie assicurò a Renzi una vittoria nel continente che il partito del premier non riuscì a conquistare, dilaniato dalle divisioni interne, in Italia.
Merlo è stato accusato dai Dem e dall’Usei di Sangregorio di aver organizzato una giornata continentale di protesta solo a scopo elettorale. Prima di loro noi, nell’edizione precedente della Tribuna Italiana, abbiamo intravisto anche lo scopo elettoralistico. Ma abbiamo scritto allora, e lo ribadiamo adesso, che la realtà della rete consolare italiana nell’America latina è alla vista di tutti. Ed è una vergogna.
L’ex ministro degli Italiani nel Mondo Mirko Tremaglia venne in Argentina nel 2006, poco prima del primo voto degli italiani all’estero. Disse allora, tra l’altro, che il servizio consolare era indegno di un paese civile come l’Italia. Più di dieci anni dopo, alla terza legislatura con parlamentari eletti all’estero, si può dire ancora lo stesso. La manifestazione di venerdì scorso promossa dal Maie mette in evidenza che niente è cambiato, che siamo tornati al passato, oppure che siamo ancora al punto di partenza.
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