“Chi rompe paga e i cocci sono suoi”. Questa regola sembra non valere per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Cosa si è rotto? Parecchie cose. Basti citare la stessa Rete consolare, la fiducia degli italiani all’estero nelle proprie Rappresentanze istituzionali, la dignità di tutti gli impiegati in servizio all’estero e l’immagine del nostro Paese.
In cosa consistono i cocci? La svendita delle proprietà demaniali all’estero, la tendenza ad affidare i servizi consolari ai “professionisti dell’assistenza”, l’impiego di personale precario e “onorario”, il disservizio e la generale distrazione verso una comunità italiana all’estero in continua crescita (siano giunti alla soglia dei 6 milioni di iscritti all’Aire), sono le macerie di quanto resta di un prestigioso edificio.
Tutto cominciò con la “Spending Review”. Quella che in italiano si chiamerebbe semplicemente “Rivisitazione della spesa pubblica”, un procedimento che in ogni Paese civile avviene in pratica tutti i giorni, quando le rispettive Corti dei Conti mettono alla prova la razionalità e la ragionevolezza delle uscite ordinate dai governanti.
In Italia il controllo della spesa pubblica, ribattezzato “Spending Review”, come se si trattasse di un’invenzione nuova, ha avuto sicuramente effetti positivi, ma è stato anche il cavallo di Troia per l’introduzione di misure scriteriate.
Ed è successo così che il Ministero degli Affari Esteri, intenzionato a dimostrare all’opinione pubblica la propria capacità di risparmio, ha messo in atto una serie di azioni, le cui conseguenze disastrose ricadono oggi sulla categoria più bistrattata degli italiani d’Italia: quella che per bisogno sbarca il lunario all’estero.
Azioni disastrose nel nome del risparmio? La chiusura degli Uffici consolari. Perché disastrose? Perché il danno, l’ipocrisia e l’ambiguità del Dicastero degli Esteri vengono a galla solo oggi al momento in cui è comprovato che ogni chiusura non ha comportato effettivi risparmi.
La dirigenza degli Affari Esteri ha risparmiato sì, ma solo in termini di responsabilità nei confronti degli italiani all’estero.
Con cecità e sufficienza sono state, infatti, disattese anche dai partiti succedutesi al governo tutte le proposte che la CONFSAL UNSA Esteri, il Sindacato con il maggiore livello di rappresentatività presso il MAECI, sin dal 2010 ha avanzato per attuare una riforma della Rete consolare con il minore impatto sulla quantità e la qualità dei servizi per gli italiani all’estero.
È stato inutile dimostrare, conti alla mano, che la chiusura di uno Sportello consolare come Manchester o come Norimberga o Saarbrücken non avrebbe comportato alcun risparmio, anzi!
È stato inutile indicare che la creazione di enormi bacini d’utenza presso i grossi consolati, a seguito delle chiusure, senza rafforzamento del numero degli addetti ai lavori, avrebbe avuto conseguenze disastrose.
Il risultato? Un appuntamento per un passaporto a distanza di 5 o 6 mesi è una realtà quotidiana. Cumuli di pratiche inevase nei reparti Anagrafe e Stato civile sono all’ordine del giorno e per una carta d’identità l’attesa di tre mesi è ormai ritenuta normale. Nei grossi consolati di nuova e vecchia emigrazione troverete un Assistente sociale per oltre 160.000 connazionali.
Chi ne paga le conseguenze? La gente che chiede i servizi e chi è posto dietro allo sportello per renderli. Gli uni sono esasperati e ormai ricorrono sempre più spesso alle palesi minacce. Gli altri sono sempre più scoraggiati e avviliti. Una catastrofe.
Nel bel mezzo di questo disastro quotidiano, assumono tratti cinici gli annunci dei consolati sulla diffusione del “Sistema Paese”. Mentre migliaia d’italiani sono in attesa dei servizi basilari, somigliano sempre più ai film di Bunuel gli inviti dei consolati alle serate “culturali”. Non si può uscire la sera tardi senza un documento d’identità (perché da due mesi aspetti il tuo passaporto), per andare ad ascoltare il professore che ti spiega la metrica del Petrarca o il colore degli occhi della signora Beatrice, “fidanzata platonica” del Signor Alighieri Dante.
Che fare? Non resta che insistere. Dal punto di vista sindacale brucia sulla pelle vedere lesi i diritti dei lavoratori italiani all’estero, i cui interessi sono evidentemente fuori da ogni attenzione “consolare” e i diritti di tutti i lavoratori presso i consolati, che sono ormai allo stremo delle forze e oggetto di antipatie e aggressioni, pagando per una disorganizzazione di cui sono le prime vittime.
Se le proposte e gli appelli lanciati dalla CONFSAL UNSA Esteri in materia di Spending Review a invarianza di servizi sono finora rimbalzati sui padiglioni auricolari del MAECI, non resta altro che passare ai fatti, con tutto lo strumentario delle azioni sindacali a disposizione.
Lavoratori dei consolati e lavoratori italiani all’estero uniti contro una Amministrazione che oltre a colpire, umilia, offendendo gravemente la parte più sana del nostro Paese: quella che quotidianamente si alza al mattino per andare a lavorare all’estero e quella che serve lealmente e in silenzio lo Stato, il nostro Stato.
CONFSAL UNSA Coordinamento ESTERI
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