Si parla di un rinvio a tempi migliori del dibattito al Senato sullo “jus soli”, ma al di là degli aspetti parlamentari è utile una riflessione serena sul concetto di “cittadinanza”, perché prima di tutto è necessario chiederci cosa sia oggi per noi il concetto di “nazionalità”.
Il punto di partenza è che una volta la nazionalità significava essenzialmente l’appartenenza stretta ad una specifica comunità. In spazi più piccoli, società chiuse e dialetti considerati come lingue, si configuravano nazionalità più piccole, poi – dalla metà dell’ 800 e almeno in Europa – è nato il concetto di nazionalità inteso come appartenenza ad uno stato nazionale, non solo per Francia o Gran Bretagna che esistevano da secoli, ma anche per alcune nuove nazioni riunite, come Germania ed Italia. (…)
Chi partiva emigrante si identificava attraverso un documento rilasciato dallo Stato – il passaporto – che ne certificava l’appartenenza nazionale.
Nel tempo chi era emigrato perdeva progressivamente le proprie peculiarità di partenza per assumere quella del paese di nuova residenza e questo soprattutto nel correre delle generazioni.
In alcuni paesi (come in Australia) per accedere a lavori pubblici occorreva la cittadinanza locale per cui si perdeva quella di partenza, ma ferme restavano le caratteristiche di comunità italiana “di sangue”, anche se non più legalmente.
Al contrario, quando altre parti del mondo sono andate economicamente in crisi (come in Sudamerica) ecco il correre a ritrovare anche recentemente una nazionalità fittizia ma di origine, utile solo per recuperare un passaporto “europeo” anche tra persone che di italiano non avevano più nulla, lontanissimi parenti di bisnonni emigrati.
La pratica insegna oggi che è difficile avere una legge sulla cittadinanza buona per tutti e che sarebbe necessario – ad esempio – valutare caso per caso, imponendo un esame della singola storia personale. Oggi per una badante ucraina o una signorina brasiliana, cubana o bielorussa – solo perché magari di bella presenza – basta sposare un italiano ottantenne per avere il diritto alla cittadinanza (salvo poi sveltamente abbandonare il marito) mentre è assurdo che persone integrate debbano attendere dieci anni per fare una domanda e poi aspettarne altri 2 o 3 perché la burocrazia faccia il suo corso.
Per assumere la cittadinanza non conta insomma dove nasci ma chi sei, come ti consideri, se sei minimamente interessato a capire cosa significhi essere italiano ed europeo, consapevole dei diritti e dei doveri che comporta un giuramento. Questo è il punto di partenza per qualsiasi nuova legge.
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