In questi giorni è apparso una comunicato dei consiglieri CGIE eletti in Svizzera nel quale si esprime il malcontento per la riduzione dei contributi del governo italiano ai cittadini italiani residenti all’ estero. In particolare modo per il taglio dei finanziamenti per i corsi di lingua e cultura italiana.
I dati sulla gestione economico finanziaria dei servizi pubblici sono pubblicati sul sito del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). I capitoli di spesa che il governo italiano destina a favore delle politiche rivolte ai cittadini italiani residenti all’estero sono riuniti nello “Stato di previsione per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale 2015-2017 “ al punto 1.6 “Italiani nel mondo e politiche migratorie”. Si tratta delle voci Contributi per le rappresentanze (Comites e CGIE), Contribuiti per le Associazioni che operano per la collettività italiana all’estero e appunto Contributi per la lingua e la cultura italiana all’estero.
Risulta che il MAECI ha destinato complessivamente per i suddetti gruppi Euro 28’942’066 per il 2015 e Euro 22’146’826 per il 2016. Il che corrisponde ad una riduzione di quasi 25%. Ma reca più sorpresa l’allocazione, ossia la distribuzione, dei contributi. Per la lingua e la cultura italiana è destinato il 92% dei contributi, per le rappresentanze 6% e per le associazioni ed enti che operano per l’assistenza delle collettività italiane all’estero un misero 2%. Incomprensibile questo squilibrio.
La lingua e la cultura italiana ci lega alla madrepatria ed è un importante componente della nostra identità, su questo punto c’è concordanza. Il MAECI prevede perciò già fondi dedicati alla lingua e la cultura italiana senza doverne aggiungere altri. Cosi il 1.7 “Promozione del sistema Paese” con oltre Euro 70’000’000 e il 1.9 “Rappresentanza all’estero e servizi ai cittadini e alle imprese” con oltre Euro 165’000’000. Sono già oltre otto volte più di tutto il contributo destinato per i cittadini italiani all’estero.
I Consiglieri CGIE sottolineano il malcontento elencando l’incremento dell’emigrazione in Svizzera. Sorvolano però sul fatto che i contributi sono previsti ad enti ed associazioni per l’insegnamento della lingua straniera, della madre lingua e della cultura italiana AI FIGLI DEI LAVORATORI ITALIANI ALL’ESTERO. Il nuovo flusso migratorio consiste prevalentemente di giovani laureati celibi che gestiscono più che bene la lingua e la cultura italiana. Qui si pone un altro problema. I figli dei lavoratori italiani in Svizzera frequentano nella scuola locale le classi per i ragazzi con difficoltà d’apprendimento e scarseggiano nelle classi elitarie e nelle Università. Questo malgrado siano transitati in passato enormi flussi per la loro istruzione. Che fine hanno fatto questi soldi? In che mani sono finiti?
La lingua e la cultura non vivono in aule scolastiche, ma tra le interazioni quotidiane. Siamo noi i portatori della cultura, non solo i nostri libri. Una cultura e la corrispondente lingua fioriscono nei nostri appartamenti, in strada, nel mercato del paese; insomma, tra di noi. Alla cultura italiana non servono soldi ma una collettività viva. In questa collettività purtroppo non mancano i problemi da risolvere e quello dei corsi di lingua e cultura italiane ne è uno minore. Ci sono gli emigranti della vecchia generazione che non hanno avuto l’opportunità di integrarsi nel sistema locale e hanno raggiunto l’età di pensione. Chi li accompagna? Ci sono i figli che non riescono a farsi valere nel sistema educativo locale. Che futuro avranno? Sono solo alcuni esempi di una lunga lista.
Appello ai nostri rappresentanti CGIE di estendere il loro raggio d’azione. Di non limitarsi ai corsi di lingua e cultura italiane, anche se risultano loro i gestori. Appello a loro di farsi portavoce per un’equa distribuzione dei fondi ministeriali e di farli convogliare verso i veri bisogni dell’emigrazione e di prendere in considerazione anche le associazioni italiane operanti per la collettività italiana all’ estero. Sono fiducioso che in questo caso il governo italiano non ha motivo di non volere offrire il necessario supporto.
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