Oggi via libera al terzo giorno di consultazioni al Colle. In attesa che il Quirinale riveli il nome di chi assumerà le redini del Paese ponendo fine a questa crisi di Governo, ItaliaChiamaItalia ha ascoltato la voce dell’On. Marco Fedi (Pd) – eletto nella circoscrizione D (Afica, Asia, Oceania e Antartide) e residente in Australia, in merito all’esito della consultazione referendaria di domenica scorsa.
On. Fedi, il 65% dei votanti all’Estero ha detto Sì alla riforma. In Australia, dove lei è residente, il referendum è stato un successo. In Italia invece, la situazione appare invertita. La valanga di No registrata ha condotto alle dimissioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Come commenta i risultati elettorali in Italia? E all’estero?
Siamo molto soddisfatti – e mi riferisco a noi deputati del Pd dell’estero – sia in termini di risultati che in termini di partecipazione e di sostegno al Sì. Una campagna quella per il Sì per cui ci siamo impegnati attivamente nel corso di questi ultimi mesi. La mia ripartizione è molto vasta, ricopre un territorio dall’estensione geografica importante (Asia, Africa, Oceania e Antartide) dunque, raggiungere tutte le località è stato chiaramente difficile. Abbiamo viaggiato molto in campagna elettorale e lì dove non siamo riusciti ad arrivare, lo abbiamo comunque fatto tramite i social media e attraverso comunicazioni dirette ai Comites e ai circoli.
Nei paesi in cui è stato possibile creare un dibattito costruttivo attraverso un confronto civico tra le ragioni del Sì e le ragioni di chi si opponeva al Sì, sono convinto che il nostro impegno abbia prevalso rispetto all’opinione pubblica e questo si vede anche nei risultati. E’ evidente che non è andata ovunque così e le motivazioni che sono alla base di quest’esito sono del tutto diverse. In Australia ha vinto il Sì perché ci troviamo di fronte ad una comunità del tutto stabile, insediata da molti anni. Gli italiani in Australia che hanno vissuto l’esperienza politica in Italia e poi oltreoceano, si rendono immediatamente conto delle differenze tra i due paesi e avrebbero certamente voluto vedere l’Italia muoversi verso un sostanziale miglioramento del proprio sistema istituzionale. In altre realtà tipo la Nuova Zelanda c’è una comunità di italiani molto diversa rispetto all’Australia – si tratta di una piccola comunità di stabilmente residenti e di un numero importante di nuovi arrivati – soprattutto giovani. Il loro voto anche qui è stato significativo, e, anche se di poco, ha prevalso il No.
Credo che l’impatto di un referendum – dunque di un voto – non lo si possa valutare soltanto in termini politici ma che sia necessario anche guardare alla composizione di quella comunità e alle sue dinamiche interne. Il risultato nazionale complessivo è deludente perché espressione di un chiaro segnale di dissenso da parte dei cittadini, segnale che va rispettato.
Detto ciò, Renzi ha fatto bene a dimettersi. Si è assunto in prima persona le responsabilità che il Governo aveva sulla riforma, una riforma che avrebbe davvero reso il sistema più efficiente, in grado di rispondere più rapidamente alle sfide del futuro e che avrebbe risposto anche alle richieste dell’Europa. Napolitano stesso, ci aveva chiesto di fare la riforma costituzionale come impegno nell’accettare il secondo mandato da presidente della Repubblica.
Le dimissioni del premier sono arrivate però solo dopo aver messo in sicurezza i conti pubblici. “Governo istituzionale o elezioni subito” ha chiesto Renzi a Mattarella. Lei quale pensa sia la soluzione migliore per l’Italia per uscire quanto prima da questa crisi di Governo?
Mah, io credo che in questo momento ci troviamo a dover affrontare di nuovo un’emergenza, dunque, se esistessero le condizioni come espresso dallo stesso Renzi, per fare un governo istituzionale che possa portarci addirittura alla fine della legislatura – non soltanto facendo la riforma elettorale ma rispondendo anche ai prossimi appuntamenti internazionali – questa sarebbe la risposta migliore. Mi pare però che al momento, l’orientamento delle altre forze politiche – M5S, Lega e Fi in primis – sia molto diverso. Non è pensabile fare un governo istituzionale senza un accordo. Quello che è pensabile è fare un governo politico anche se tecnico che potrebbe rappresentare una soluzione, seppur transitoria.
Bisogna però capire cosa vogliamo affidare realmente a questo esecutivo, se solo la legge elettorale e poi andare al voto o se invece vogliamo portarci più avanti, al 2017, per fare altre cose. A questo punto, l’esecutivo diventerebbe un governo politico a tutti gli effetti.
Mi sento dunque di promuovere la posizione di Renzi. Noi abbiamo la possibilità di fare una legge elettorale e poi di andare rapidamente al voto, rispondendo intanto alle questioni più urgenti e a quelle di ordinaria amministrazione. Non dobbiamo aver paura delle elezioni – che sono in ogni caso vicine – perché il 2018 non è poi così lontano. Se riuscissimo a fare tutto in poco tempo e a chiudere questa partita prima dell’estate 2017, sarebbe molto positivo non soltanto per noi come Pd, ma per l’Italia e per la politica in generale.
Qualcuno sta già lavorando alla campagna elettorale per le prossime politiche. Lei? Pensa di ricandidarsi?
In questo momento non sono in grado di comunicare una decisione né ai mezzi di informazione né a terzi. Non credo sia questo il clima per iniziare una campagna elettorale, ma credo sia invece questo il clima per dare tutti un contributo che possa rasserenare gli animi dopo un referendum che ci ha visti scontrare con persone che spesso trovavamo affianco a noi. La priorità è adesso quella di ristabilire un clima di serenità e trovare una soluzione a questa crisi di governo che tale è, dando risposte chiare. Poi, quando si decideranno le candidature, ognuno farà campagna elettorale.
Lei ha ricordato che ci troviamo in un momento di forte instabilità. Solo crisi di Governo o anche crisi del Pd? Come immagina il futuro del Pd, considerando che l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, solo ieri ha dichiarato di sentirsi pronto ad unire la sinistra al di fuori del Pd, dimostrandosi favorevole ad un’alleanza con Renzi a patto che il premier uscente rompa con Verdini e con il centro destra di Alfano?
Io non sono un Renziano doc. Ho sostenuto Renzi – coerentemente – perché era il nostro presidente del Consiglio nonchè Segretario del Pd. Ho sempre ritenuto fosse un errore sommare le due cariche e sono ancora convinto di questo, dunque suggerirei a Renzi di fare un passo indietro dal ruolo di Segretario. Ripeto, in questo momento la priorità è uscire in fretta da questo momento di crisi.
Si stanno diffondendo voci e proposte molto variegate sul percorso di ricostruzione del Pd, chiaramente un percorso che ha come priorità l’unità. Perché il Pd esiste ed è un partito sano e che discute, che si confronta, cosa che altri non fanno. Ma la sua unità va ricostruita intorno a una proposta politica seria. E questa deve essere fatta dapprima dal Pd stesso, individuando il percorso migliore, che può essere quello congressuale ma può essere identificato anche in altre percorsi. Sicuramente si dovrà partire da una prima seria discussione – che ancora non è avvenuta ma che avverrà a breve – sull’esito del referendum e sul futuro del partito. Dentro questa discussione poi si troveranno anche le formule per le alleanze.
Il Pd ha naturalmente l’ispirazione di essere il partito che va al confronto elettorale da solo ma può anche verificarsi che questo risulti improponibile – sia perché stiamo ridiscutendo la legge elettorale, dunque avremo un nuovo modello elettorale, sia perché in ogni caso, mi pare che gli elettori abbian detto che vogliono mantenere il vecchio sistema. E il vecchio sistema, lo vediamo in questi giorni, è un sistema in cui i cespugli pensano di contare molto e visto il voto degli italiani, probabilmente conteranno sempre di più. Dunque i partiti insignificanti continueranno a dettare le condizioni del futuro della legislatura e del futuro della politica. Noi come Pd avevamo un’aspirazione diversa, ma gli elettori avendo bocciato la riforma costituzionale hanno fatto sì che i piccoli partiti, le piccole personalità, continueranno a contare molto sia sul futuro della legislatura sia sul futuro politico.
Diverse polemiche hanno accompagnato il voto all’estero. Secondo lei si continuerà a votare per corrispondenza anche nelle prossime politiche o ci sarà un meccanismo dell’inversione dell’opzione come per l’elezione dei Comites?
Guardi, sul meccanismo di inversione dell’opzione si son dette solo tante sciocchezze e idiozie in questi giorni. Nessuno ha detto una cosa seria. La cosa seria è che sì, bisogna cambiare il meccanismo elettorale ma bisogna farlo bene. La proposta del meccanismo di inversione dell’opzione va fatta con un anno e mezzo di anticipo e noi non abbiamo tutto questo tempo, dunque farla come è stata fatta per i Comites è ora francamente inutile. Perché significa non avere il tempo di comunicare i cambiamenti agli elettori e non avere neanche il tempo necessario per farli questi cambiamenti.
Stessa cosa per il voto elettronico. Sono tutte ipotesi sulle quali si può lavorare, c’è un futuro per queste soluzioni ma occorre tempo, tempo che oggi non abbiamo. C’è invece la possibilità con semplici accorgimenti di migliorare il voto postale, di renderlo più sicuro, garantendo la segretezza e la personalità del voto e questa sarebbe la soluzione migliore. Queste proposte erano state da noi presentate con le prime firme dei capogruppo di Camera e Senato, dunque esistono così come esistono altre proposte per trovare soluzioni diverse per quanto riguarda i collegi. Sta ora al Parlamento stabilire le priorità ed affrontarle.
E’ di pochi giorni fa la notizia che l’On. Di Battista abbia intenzione di proporre un nuovo referendum agli italiani sulla moneta, sull’euro. Lei cosa pensa di questa ipotesi?
Credo non si possa vivere la vita politica di un Paese a colpi di referendum. Questa è una follia. Il referendum è uno strumento straordinario, e, abrogativo o confermativo che sia, noi abbiamo la responsabilità come esponenti politici di guidare il Paese. Perciò penso che il M5S non sia né in grado né all’altezza di affrontare le sfide del futuro e questo lo capiranno anche gli elettori – a mio avviso lo stanno comprendendo già molto bene a Roma – e lo comprenderanno anche meglio anche quando arriveranno le proposte politiche del M5S. Se venissero accettate, vorrà dire che l’Italia non sarà più in grado né di convivere in Europa né di avere un ruolo guida, perché le loro proposte ci relegano ad un ruolo marginale, molto simile a quello di paesi che oggi non sono più in grado di reggere il confronto con la modernità. Se queste sono le condizioni in cui M5S vuole ridurre l’Italia, ci riflettano bene tutti gli elettori.
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