Molti italiani emigrati all’estero per lavoro, soprattutto giovani, sono esposti al rischio molto concreto di essere assoggettati alla tassazione concorrente (doppia) sul reddito da lavoro da loro prodotto nel caso in cui non si siano iscritti all’AIRE, ovvero sia alla tassazione nei paesi di attività che in Italia.
La doppia tassazione rischia di non essere mitigata dal meccanismo del credito di imposta se i soggetti interessati, che hanno mantenuto appunto la residenza in Italia, non fanno la dichiarazione dei redditi in Italia ogni anno – come previsto dal TUIR (art. 165) e dal principio della “World Wide Taxation” (artt. 2 e 3).
La questione è tutt’altro che marginale poiché coinvolge certamente decine, forse centinaia, di migliaia di persone emigrate negli anni passati e che continuano a farlo attualmente.
L’on. Fedi, che sulla questione ha già presentato una interrogazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha scritto ieri al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e al Ministro Pier Carlo Padoan nel tentativo di sensibilizzare il Governo su questo problema e sul combinato disposto penalizzante dell’intreccio tra diritto nazionale e quello internazionale (convenzionale) e di sollecitare una rapida e adeguata soluzione.
Il testo della lettera:
«Gentile Presidente Gentiloni, Gentile Ministro Padoan,
desidero segnalare un problema di viva attualità e di grande sensibilità per decine di migliaia di giovani italiani emigrati all’estero alla ricerca di un lavoro.
Molti di loro, per ignoranza della legge o per semplice negligenza, non si iscrivono all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) sebbene ne abbiano i requisiti e l’obbligo. In virtù della normativa fiscale nazionale attualmente in vigore, fondata sul principio della cosiddetta “world wide taxation” adottato dal nostro Paese, questi giovani che lavorano, producono reddito e pagano le tasse nei Paesi di soggiorno, pur continuando a mantenere la residenza anagrafica (e quindi fiscale) in Italia, sono obbligati a dichiarare annualmente anche nel nostro Paese i redditi prodotti all’estero (artt. 2 e 3 del Tuir). Se non lo fanno o lo fanno in ritardo, vengono tassati sia alla fonte che in Italia e, inoltre, perdono il diritto al credito di imposta (art. 165 del Tuir). Quindi rischiano, se individuati dal Fisco italiano che in questi anni sta intensificando gli scambi di informazioni fiscali con molti Paesi, di essere tassati due volte sullo stesso reddito, di non poter usufruire del credito di imposta e di subire inoltre pesanti sanzioni, sebbene abbiano già assolto al dovere fiscale nel Paese ove vivono e lavorano.
A questa inquietante situazione non pongono rimedio le Convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali che paradossalmente all’articolo 15 “Lavoro subordinato” (mutuato dal modello OCSE) prevedono il principio della tassazione concorrente che presuppone l’assoggettamento ad imposta sia nel Paese in cui sono prodotti i redditi che in quello di residenza, salvo il riconoscimento delle imposte pagate all’estero con le modalità proprie dell’ordinamento giuridico nazionale. Tali modalità, tuttavia, in Italia puniscono severamente l’omissione o il ritardo nella presentazione della dichiarazione dei redditi. Infatti, il già citato art. 165 del Tuir stabilisce che la detrazione o credito di imposta compensativo, prevista dallo stesso articolo e dalle convenzioni contro la doppia imposizione, non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata.
Si sta determinando quindi il fenomeno che migliaia di giovani cittadini italiani emigrati per ragioni di lavoro incorrano nel rischio di essere sottoposti a doppia tassazione, inasprita da probabili sanzioni, sebbene abbiano già pagato regolarmente le tasse nel Paese estero di lavoro. Questo perché, ribadisco, l’art. 165 del D.P.R. n. 917 del 1986, nella sua attuale formulazione, non consente all’Agenzia delle Entrate di riconoscere la detrazione delle imposte pagate all’estero quando non è stata presentata la dichiarazione dei redditi in Italia.
Credo sia giusto porsi il problema di come sanare una situazione di potenziale penalizzazione di decine di migliaia di giovani italiani che vivono e lavorano all’estero (ma, con la ripresa del fenomeno migratorio in uscita, potrebbero essere centinaia di migliaia!), sebbene abbiano mantenuto la residenza anagrafica in Italia.
In prospettiva, certamente gioverebbe un’efficace e diffusa campagna di informazione sull’obbligo e sui vantaggi fiscali dell’iscrizione all’AIRE. Nel frattempo e con evidente urgenza sarebbe forse utile modificare e mitigare l’attuale formulazione dell’art. 165, comma 8, del Tuir. Possibilmente in modo che i nostri giovani non siano tassati due volte sullo stesso reddito ma siano tenuti a pagare solo eventuali sanzioni per aver omesso di presentare la dichiarazione dei redditi in Italia. Suppongo che l’Agenzia delle Entrate, che è ben consapevole del problema, potrebbe fornire un utile contributo tecnico a tale proposito.
Da parte mia, in qualità di eletto nella ripartizione Estero e di interlocutore di molti giovani lavoratori italiani all’estero che ha avuto modo di conoscerne direttamente le istanze, sono ovviamente disponibile a promuovere nel merito un’iniziativa legislativa volta migliorare l’attuale quadro normativo. Tuttavia ritengo – ed è questa la ragione di questa mia comunicazione – che sia preferibile e più efficace che il Governo assuma direttamente un’iniziativa al riguardo. Mi permetto di allegare alla presente la mia recente interrogazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Con l’auspicio di un’adeguata attenzione al problema e con la speranza di gradito riscontro, invio i miei più cordiali saluti. On. Marco Fedi».
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